Viene il mattino ad Aleppo
Fino al marzo 2011, data in cui la Siria veniva coinvolta nella crisi nordafricana nota come “primavera araba”, la città di Aleppo, già famosa per il suo patrimonio storico-archeologico dichiarato bene mondiale dall’Unesco, era considerata il polo industriale e commerciale di tutto il Paese. Senonché nell’estate 2012, dopo la conquista dei quartieri nord da parte delle milizie armate in opposizione al governo di Bashar al-Assad, la situazione è andata rapidamente degenerando. Iniziava per Aleppo una lunga notte fatta di saccheggi, distruzioni e continui bombardamenti che avrebbero duramente provato la popolazione civile, riducendola all’estremo per mancanza di acqua, generi alimentari, riscaldamento ed elettricità.
Pur nell’intensificarsi dei combattimenti, i francescani della Custodia di Terra Santa non hanno mai lasciato questa Siria «amata e martoriata», secondo l’espressione di papa Francesco: presenti in diverse città e villaggi, aiutano la popolazione locale senza alcuna distinzione di appartenenza e di religione, con particolare attenzione a bambini e donne. Fra loro, padre Ibrahim Alsabagh, parroco della chiesa di San Francesco d’Assisi ad Azizieh, quartiere di Aleppo a poche centinaia di metri dalle zone occupate dai miliziani.
Tradotto in più lingue, il suo diario di guerra L’ultimo istante prima dell’alba, pubblicato dalle Edizioni Terra Santa, ha fatto conoscere al mondo la tragedia di una città tenuta in scacco dalle milizie jihadiste e solo per il 40 per cento rimasta sotto il controllo delle truppe governative. Nel nuovo libro Viene il mattino (stessa editrice), padre Ibrahim riprende il filo del racconto dall’autunno 2016, quando le forze di Assad, sostenute dall’aviazione russa e dalle milizie sciite degli Hezbollah libanesi, scatenano l’offensiva finale per la riconquista della zona est della città, mentre i civili rimasti (circa un terzo della popolazione prima della guerra) tentano di resistere alla pioggia di missili e bombe. Solo il 22 dicembre Aleppo viene dichiarata “città sicura”: in realtà in alcuni quartieri si combatte ancora e si temono attentati suicidi, specialmente in occasione delle festività religiose.
Ad ogni modo l’incubo è finito: almeno per ora, missili non ne piovono più e non bisogna guardarsi dai cecchini. Testimoni della follia umana, restano le macerie (il 70 per cento della città è distrutto), i tanti morti da piangere, la disperazione di chi, avendo perso tutto, deve reinventarsi una vita in una situazione dove si registrano crisi economica, corruzione in ogni ambito della vita civile, mancanza dei servizi fondamentali. Il libro racconta questa seconda fase, per certi aspetti più difficile: anche perché Aleppo non fa più notizia, i riflettori sono ora puntati altrove, dove si sta consumando una tragedia simile. Eppure nella città ora fin troppo tranquilla, se paragonata all’animazione anteguerra, l’emergenza non è affatto terminata e si continua a morire: spesso per cure sbagliate o per mancanza di attrezzature mediche adeguate.
Viene il mattino ha come centro focale la comunità cattolica di rito latino, ma il cuore di padre Ibrahim batte per ogni uomo che soffre ed è ferito nella sua dignità, sia cristiano d’altra confessione o musulmano. Coadiuvato da quanti tra i suoi parrocchiani si sono rifiutati di emigrare – scelta per molti versi eroica –, egli ci fa toccare con mano il dramma di un popolo e di una città, ma anche la realtà di una comunità cristiana che, proprio nella sua situazione “catacombale”, ha ritrovato vitalità. «Ma non era così – si chiede l’autore – la Chiesa dei primi secoli? Noi, Chiesa di Aleppo, siamo il modello della Chiesa come l’ha voluta Gesù e come ci ricorda di continuo papa Francesco. Una Chiesa povera ma che arricchisce tanti, una Chiesa povera che è comunque concentrata sul servizio degli ultimi».
L’attenzione va alle prime e più indifese vittime: i tanti bambini nati durante gli anni del conflitto che non hanno mai conosciuto se non gli scoppi delle bombe, il terrore, la fame, il freddo ed ogni genere di privazioni. Le pagine dedicate alle loro preghiere per invocare il dono della pace e alla loro capacità di reagire alle avversità sono fra le più toccanti del libro. Come pure quelle in cui padre Ibrahim, convinto fautore della convivenza tra credenti di religioni diverse, raccoglie il lamento degli amici musulmani, loro pure oggetto di persecuzione da parte delle forze jihadiste.
Alla catastrofe umanitaria che ha colpito Aleppo s’aggiunge quella culturale: la città vecchia, la Grande Moschea omayyade dell’VIII secolo, l’antico suq al-Madina e la Cittadella col suo nucleo fortificato ricco di testimonianze che vanno dalla preistoria all’epoca ottomana hanno subìto danni pesantissimi, come del resto centinaia di altri siti analoghi nel resto della Siria. Il libro non affronta – né era suo compito – il problema immane della ricostruzione e del restauro dei tanti monumenti distrutti o danneggiati, per i quali saranno necessari l’intervento e il non facile coordinamento della comunità internazionale.
Chi ricostruirà Aleppo? A padre Ibrahim sembra ovvio che l’intervento prioritario dello Stato non potrà non concentrarsi sulle zone industriali della città per cercare di mettere gli imprenditori locali nelle condizioni di tornare a lavorare. Tutt’al più ci si potrà aspettare un aiuto per qualche antica chiesa o moschea di particolare pregio.
Intanto, nel faticoso cammino verso la rinascita, il frate e i suoi stanno portando avanti, col supporto anzitutto della Caritas siriana, una sorprendente varietà di progetti di solidarietà (circa cinquanta solo nel 2017) intesi a dare speranza e stabilità a molte famiglie che vivono nella disperazione e sono tentate di emigrare. Ma tutta la Chiesa ad Aleppo, nei diversi riti, associazioni e istituzioni caritatevoli, è impegnata a soccorrere tanto i musulmani quanto i cristiani. È in atto, fra gli altri, il progetto voluto da papa Francesco mediante il quale in tre ospedali ecclesiastici a Damasco e ad Aleppo sono accolti e curati gratuitamente i siriani poveri, a qualunque fede appartengano. Si inizia dai bisogni materiali per arrivare a guarire l’uomo intero, l’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio.
Nonostante l’esempio dell’Iraq o del Libano, dove a distanza di anni dal conflitto continua a regnare il caos, la visione di padre Ibrahim riguardo al futuro è positiva: «Queste azioni di misericordia sono la nostra risposta al fondamentalismo che, sconfitto dal punto di vista militare, rimane operante in forma clandestina attraverso le strutture e le istituzioni, specialmente verso le minoranze, fra cui ci siamo anche noi cristiani». Simboleggia questa volontà di riconciliazione la bomba inesplosa sulla cupola della sua parrocchia, trasformata in fioriera ad ornamento dell’altare durante la messa.