Viene alla luce la Lombardia dei boss

Tra i milanesi che commentano la "vittoria della Procura", dopo le condanne ai capi della 'ndrangheta locale
tribunale

È il lavoro di anni, svolto sempre nella «piena collaborazione tra i magistrati di Milano e Reggio Calabria. Siamo arrivati – racconta il procuratore aggiunto antimafia Ilda Boccassini – alle stesse conclusioni con Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino e i giovani colleghi giù in Calabria, che operano in territori più segnati dalle tragedie rispetto alla Lombardia. C’è un reale "idem sentire" sulle difficili indagini che abbiamo in corso. Qualcuno, certo, ha criticato la nostra impostazione, e preferisce parlare di faide tra famiglie, sminuire la ‘ndrangheta, che è mondiale, sino a farla diventare una questione di paese, di piccoli paesi. Ma anche nei piccoli paesi per noi c’è l’unicità dell’organizzazione».

 

Si commenta sulle piazze la sentenza contro la criminalità organizzata del Nord. La camera di consiglio durata quasi due giorni, le proteste degli imputati, poi nella serata di sabato il lungo elenco di nomi letto dal giudice per l’udienza preliminare Roberto Arnaldi: centodieci condanne, di cui otto per i boss della ‘ndrangheta che hanno dominato la Lombardia negli ultimi anni. Solo otto le assoluzioni, di cui tre nei confronti di persone già condannati in altri processi. Tra queste c’è Vincenzo Rispoli, il padrino di Legnano molto interessato agli appalti di Expo 2015. Lo stupore è palpabile tra “il popolo”, ma alcuni che si distinguono un tantino dal pensare comune commentano che qui, come al sud, il territorio è governato dalle cosche. Che comandano i clan, e le famiglie mafiose agiscono allo stesso modo in Lombardia, in Sicilia e Calabria.

 

Molti riconoscono che è iniziato un lavoro importantissimo, che va continuato senza tregua. Qualche quotidiano ha scritto che «è stata decretata, per sentenza di primo grado, l’"unicità" della ‘ndrangheta, riconosciuta la sua natura di grande e ramificata organizzazione, simile in tutto e per tutto a Cosa Nostra siciliana, con vertice e decisioni condivise». Varie cosche che agiscono su territori diversi con capi diversi, ma che se l’intendevano. E molto seriamente. I paragoni con chi è caduto "in guerra" contro l’Antistato, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, suonano spesso stonati. Allora Cosa Nostra venne capita: ora si continua su questa linea, e si chiarisce sempre meglio la sua struttura organizzata e ramificata. Una struttura con sempre maggiori ambizioni. «Se la "testa unica" è emersa, che può succedere? Che anche quei mondi di collusi, faccendieri, professionisti, imprenditori, riciclatori e dipendenti statali che trafficano insieme con la ‘ndrangheta, la cosiddetta "zona grigia", possono rischiare molto di più di un tempo. In procura c’è "grande soddisfazione», afferma la Boccassini.

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