Vicini al Big Bang
Al Big Bang, cioè alla grande esplosione iniziale da cui ha avuto origine l’universo in cui viviamo, oggi ci credono un po’ tutti, sia la gente comune, se non altro perché l’espressione viene usata continuamente dai giornali, sia gli scienziati. Questi ultimi per la verità fanno un po’ più fatica, sia perché non amano le situazioni al limite che non sanno come trattare (e il Big Bang rappresenta per la scienza proprio la “singolarità” più singolarità di tutte), sia forse perché la cosa assomiglia un po’ troppo all’idea cristiana di creazione dal nulla.
Non a caso, fin da quando la teoria venne elaborata, si sono moltiplicate le proposte alternative, dall’universo ciclico (si espande, poi si contrae fino a concentrarsi in un punto, poi si riespande di nuovo e così via), al multiverso (il nostro è solo uno dei miliardi di universi esistenti). Tutte proposte che evitano di dover fare i conti con la singolarità del Big Bang.
Per capire meglio il motivo di questa discussione senza fine bisogna fare un po’ di storia. L’esistenza del Big Bang venne teorizzata negli anni ’20 da Einstein, Lemaitre (fisico e sacerdote cattolico belga) e Friedman (cosmologo russo). Nel 1949 lo scienziato Fred Hoyle coniò il termine dispregiativo Big Bang (grande botto) per esprimere il proprio netto rifiuto della teoria, ma l’espressione fece fortuna.
Nel 1964 (giusto 50 anni fa!) arrivò finalmente la clamorosa conferma sperimentale: Arno Penzias e Robert Wilson scoprirono per caso, con i loro strumenti, l'esistenza di una radiazione “fossile” che permea tutto l’universo e rappresenta proprio il residuo del Big Bang. Questa radiazione cosmica di fondo a microonde risale a circa 370 mila anni dopo il grande botto, che si calcola sia avvenuto quasi 14 miliardi di anni fa. Il clamore della notizia era dovuto al fatto che per la prima volta si trovavano tracce (scientificamente incontrovertibili) che ci raccontavano com’era l’universo poco tempo dopo l’esplosione iniziale.
Negli anni successivi si sono costruiti telescopi ottici sempre più potenti (per esempio Hubble in orbita), che ci hanno permesso di “vedere” la luce emessa dai corpi celesti miliardi e miliardi di anni fa, fino a quella delle prime stelle e galassie nate 400 milioni di anni dopo il Big Bang. Naturalmente questo alla scienza non basta, vuole arrivare ancora più indietro nel tempo, fino al momento iniziale: la teoria oggi in voga descrive cosa dovrebbe essere successo all’universo nei primi secondi dopo il Big Bang. In particolare si ritiene che un istante dopo l’inizio (10 alla -37 secondi) l’universo abbia subito una rapidissima espansione (chiamata “inflazione cosmica”), raddoppiando centomila volte la sua dimensione, per poi iniziare una fase più tranquilla di espansione
Il problema è che, fino ad oggi, questa era solo una teoria, perché non possiamo “vedere” nulla di quello che è successo nei primi 370 mila anni dal Big Bang. L’universo appena nato, infatti, era una specie di melassa di particelle elementari di tutti i tipi, una nebbia disordinata e impenetrabile che si è dissolta appunto solo dopo 370 mila anni, dando finalmente ai fotoni di luce la possibilità di muoversi liberamente e quindi arrivare (13,82 miliardi di anni dopo) fino ai nostri telescopi, per raccontarci la storia del cosmo primordiale. Giusto un anno fa a Parigi gli scienziati festeggiavano l’immagine dettagliatissima dell’universo fornitaci dal satellite Planck, immagine ferma a quei 370 mila anni.
Oggi invece la svolta: siamo finalmente andati più indietro, siamo arrivati ad appena qualche decimale di secondo dopo il Big Bang. Non l’abbiamo fatto direttamente. Non abbiamo “visto” la scintilla iniziale. Abbiamo però per la prima volta rilevato, nella radiazione cosmica di fondo, la traccia delle onde gravitazionali provocate dal Big Bang. Queste onde, ipotizzate da Einstein, ma che finora nessuno è mai riuscito ad osservare direttamente, sono increspature provocate nello spazio-tempo da una massa che accelera o da fenomeni estremi come il Big Bang. In pratica queste onde gravitazionali partite una frazione di secondo dopo il Big Bang, come uno tsunami provocato dalla rapidissima espansione iniziale dell’universo, hanno lasciato una traccia nella radiazione cosmica di fondo e quindi noi oggi le possiamo “leggere” (nella polarizzazione dei fotoni che compongono questa radiazione).
Gli astrofisici John Kovac e Chao-Lin Kuo, a nome del team che gestisce il telescopio BICEP 2, posto fra i ghiacci antartici presso la stazione Amundsen-Scott, vicino al Polo Sud, hanno annunciato al pubblico mondiale di scienziati ed appassionati che il segnale che confermava l’inflazione cosmica era stato registrato. “Fantastico”, “Stupendo”, “Finalmente”, sono i termini che si rincorrono nei commenti. Inizia oggi una nuova astronomia, l’astronomia gravitazionale. Bisognerà aspettare, come sempre, le verifiche del caso, ma intanto l’entusiasmo è incontenibile. E il Nobel dietro l’angolo.