Viaggio tra i reclusi di Monzon

Con la pellicola Cella 211, il regista spagnolo mette in scena il dramma di un secondino che finisce in carcere, vittima della burocrazia e dell'ingiustizia
carcere

Vincitore di 8 premi Goya, esce il film di Daniel Monzon, una nuova storia carceraria sulla scia del notevole (e purtroppo poco apprezzato dal pubblico…) Il profeta.

 

Juan Olivier, innamorato della moglie che aspetta il primo figlio, è al suo primo incarico come secondino. Preciso com’è, si reca un giorno prima del previsto al lavoro per conoscere l’ambiente. Una fatalità fa sì che egli resti chiuso in una cella e si trovi a convivere a fianco a fianco con i carcerati. Gli si cambia la vita e da secondino diventa vittima dei reclusi ma anche della burocrazia dei suo colleghi, finchè la sua esistenza si fa viaggio doloroso verso l’ingiustizia e la morte.

 

Monzon, con un ritmo narrativo spedito e spietato, inscena un dramma cupo, dove l’umanità dentro e fuori del carcere è preda di passioni e di inadempienze, e la violenza fisica o psicologica dura da entrambe le parti. Il carcere non rende migliori di quelli che ne sono fuori. Il film descrive la regressione di un giovane pulito dall’amore e dalla gentilezza all’istinto di sopravvivenza che lo rende omicida quand’è colpito negli affetti più cari. C’è redenzione? Ci sarebbe stata la possibilità di una salvezza? Il collega Armando, troppo debole e ligio alle regole per opporsi con decisione all’ingiustizia, finisce per chiederselo. Lo stato, con i suoi interventi violenti e le sue lentezze burocratiche, non è in grado di salvare il giovane secondino. Il film si chiude col rimorso ma anche con la tendenza ad una sorta di autoassoluzione da parte di chi serve lo stato.

 

Resta la dolorosa tristezza per un non-amore che rende gravosa la vita di tutti , chi è fuori e chi è dentro il carcere ed il senso di una fatalità oscura che decide il destino degli uomini. Ma è proprio così? Il film non prende decisioni, né dà riposte, forse dice troppe cose. Intensa la recitazione degli attori, senza tregua il filo narrativo, precisa la regia, nonostante alcuni cedimenti al mèlo.

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