Viaggio in Siria ad Aleppo
Con il mese di Marzo 2020 entra nel suo decimo anno la guerra in Siria. Un conflitto che seguiamo costantemente su Città Nuova tramite i corrispondenti dal Medio Oriente.
Nel Paese, segnato dalle sofferenze inflitte, in particolar modo, sulla popolazione civile, svolge la sua attività solidale “Azione per un mondo unito” (Amu), ong espressione del Movimento dei Focolari.
Seconda puntata (qui il link al primo articolo) del diario di viaggio legato al progetto Emergenza Siria di Amu.
25 febbraio 2020
Aleppo, una delle città più antiche del mondo, distrutta in cinque anni di follia…
– Sai che il nostro modo di parlare, qui, è tutto una poesia? Per esempio, per dare il benvenuto a una persona, come abbiamo fatto ieri con voi, in arabo noi diciamo: «Hai illuminato questo posto». E sai cosa risponde l’altro? «Questo posto era già luminoso per la tua presenza».
Nel frattempo arriviamo in macchina a destinazione, cerchiamo parcheggio.
– Guarda lì sulla sinistra c’è un posto, davanti al marciapiede dove sono seduti quei ragazzi.
– Non daremo fastidio al meccanico lì davanti?
– Prova, chiediamo.
– Scusate posso parcheggiare qui?
– Puoi parcheggiare anche nel mio cuore.
– So che il tuo cuore è grande ma non vorrei prendere troppo spazio.
– Che ti dicevo…? Qui parliamo così!
Voci dalla gente che incontriamo lungo il viaggio…:
– Questa guerra è arrivata proprio nel momento del massimo sviluppo della Siria, economico e sociale. Avevamo raggiunto il massimo del reddito e della qualità dei servizi. Eravamo addirittura riusciti ad imparare a rispettare le regole: nessuno parcheggiava più sulle strisce pedonali, i pedoni attraversavano tranquilli… e per un paese mediorientale è un cambiamento… E adesso invece, siamo ritornati indietro.
– Io lavoravo in un’industria di tessuti, ho dovuto lasciare il lavoro quando le milizie di mercenari hanno preso la zona industriale, mi sono messo a fare il tassista… sulla strada buia, stretta, disastrata, piena di camion e di posti di blocco… Fino a due anni fa questa strada dove siamo adesso divideva la zona dei mercenari da quella dell’esercito. Sparavano sulle macchine. Di notte i mercenari mettevano mine per colpire i mezzi dell’esercito, ma se al mattino prima di loro passava un taxi come me, saltava in aria. Quanti miei colleghi sono morti così.
– Vedi questo posto di blocco dove ci stiamo fermando? Questo non è dell’esercito, sono i cittadini dei villaggi qui intorno che, con l’accordo dell’esercito, hanno difeso il territorio dai mercenari durante tutti questi anni, e continuano a farlo. Guarda loro, e quei soldati più avanti, sono qui da anni, tutti i giorni, tutte le notti, a difendere la gente. Col ghiaccio, col buio.
– Pensa che prima della guerra il governo dava un sussidio per comprare il pane: 1 kg a 10 centesimi di euro. E ha continuato a farlo durante la guerra. Anche nelle zone controllate dai ribelli, il governo faceva arrivare la farina ai forni. Anche quando loro invece di produrre il pane rivendevano la farina al mercato nero per finanziarsi. E ha continuato a pagare gli stipendi degli insegnanti anche quando 1/3 delle scuole era stato distrutto e loro non potevano più andare al lavoro. Fino ad oggi tutti hanno ricevuto lo stipendio. E invece all’estero quante storie sono state montate e raccontate al mondo? Ma la gente fuori sa cosa viviamo davvero qui, o crede a quello che si dice sui media? Anche voi ci credete?
– Noi siriani amiamo la festa, amiamo cantare e danzare. Dovreste vedere i matrimoni. Prima della guerra iniziavano alle 21 con la messa, per i cristiani. Poi verso le 23 si andava alla sala, la sposa naturalmente arrivava a mezzanotte e poi iniziava la festa. Di solito si finiva di cantare e ballare alle 6 o alle 7 di mattina. Con la guerra, di notte era più pericoloso. Si è anticipato l’inizio alle 19, poi alle 17, poi alle 14. Sono cambiati gli orari, ma la voglia di fare festa è rimasta la stessa, ce l’abbiamo nel sangue!
26 febbraio 2020
Sprazzi di vita e di lavoro ad Aleppo.
Stamattina incontriamo uno dei pochi psicologi rimasti qui, per confrontarci con lui su alcuni aspetti dei nostri progetti e sull’impatto che possono avere nella vita delle persone. Ci aiuta a capire meglio:
– In questi nove anni di guerra la gente, gli adulti e soprattutto i bambini, ha assorbito una enorme quantità di sofferenza, di stress, di traumi. Una sofferenza che è rimasta dentro. Già prima, per la nostra cultura, non eravamo abituati ad esprimere i sentimenti, specialmente i maschi. In più, gli shock continui ributtavano dentro le emozioni e i sentimenti. Ecco, ora iniziano a venire fuori. E non essendo culturalmente abituati ad esprimerli con le parole, vengono fuori coi comportamenti. Per cui vediamo, ad esempio, rabbia e violenza negli adulti che, per lo stress, spesso si esprimono nei confronti dei bambini. Nei bambini vediamo, ad esempio, iperattività o difficoltà nel linguaggio… sono tutte espressioni della sofferenza vissuta, che oggi emerge. Per questo io trovo particolarmente adatto alla nostra situazione l’approccio della comunicazione non violenta, che aiuta le persone ad individuare ed esprimere i propri sentimenti e i propri bisogni. Così si può cominciare ad affrontare la sofferenza che c’è dentro e a superarla. Poi ci vogliono naturalmente interventi più specifici per i singoli casi.
Ci spostiamo in macchina per un altro appuntamento. Il collega che guida si accorge di aver preso la strada sbagliata, si ferma e fa una manovra a marcia indietro in mezzo a un incrocio. Poi riparte e dice:
– Nooo, ma guarda quello lì che manovra fa in mezzo alla strada!
– Mah… veramente è la stessa che hai fatto tu adesso…
– Si… però io sono più bravo.
– Ah ah ah!
– Certo, in effetti è vero che siamo pronti a vedere subito ciò che fanno gli altri e non ci accorgiamo di quello che facciamo noi…!
Nel lungo viaggio di tre giorni fa per Aleppo, uno degli autisti ci raccontava:
– Scusate, faremo un po’ più tardi del previsto. Hanno riaperto l’autostrada da 10 giorni, ma non me la sento di percorrerla di notte. Solo 15 giorni fa era la linea del fronte, e non mi sento ancora sicuro, prendiamo la strada più lunga. Fino a due anni fa anche questa era pericolosa, ora non più. C’era il rischio continuo di rapine e rapimenti. Una volta ero a quel posto di blocco lì davanti. Vedevo in lontananza un’auto parcheggiata nella campagna, che non mi piaceva. Sapevamo quali erano le macchine pericolose. Ripartito dal posto di blocco, ho superato quella macchina parcheggiata e ho visto dallo specchietto che ha cominciato a seguirmi. Mi ha affiancato, ha abbassato il finestrino e mostrandomi il mitra mi ha detto di fermarmi. Per difendere il mio passeggero, d’istinto ho accelerato. Quelli hanno sparato dei colpi in aria gridando di fermarmi e il mio piede accelerava sempre di più. Ho corso tantissimo fino al successivo posto di blocco. C’era un soldato che conoscevo, gli ho raccontato tutto. Lui quasi sveniva… figurati io! Ma ci siamo salvati.
Torno a casa la sera dopo il lavoro, saluto il collega che mi ha accompagnato in macchina e mi dirigo verso il citofono… ma mi accorgo di non sapere a quale dei dieci citofoni suonare. Il wi-fi prende anche qui fuori, chiamo…
– Ciao sono Francesco, sono qui fuori, potreste aprirmi il portone per favore? Non so qual è il citofono…
– Ah Francesco, guarda, è quello su cui è scritto il nostro nome.
– Questo lo immaginavo, e ti ringrazio per la fiducia che riponi nelle mie capacità, ma ti ricordo che non so ancora leggere l’arabo!!!
(continua)