Viaggio in un Paese in guerra

La decisione di trascorrere qualche tempo in Terra Santa in questi giorni di guerra: una pazzia, un atto di coraggio o un gesto di fraternità? Dal nostro corrispondente
Terra Santa

Alcuni amici hanno definito questo viaggio "un’autentica pazzia": proprio ora che divampa la guerra! Sinceramente sentivo nel cuore che proprio ora, invece, è il momento di venire qui per "piangere con chi piange", per portare "un piccolo seme di fraternita’’ come altri amici mi hanno detto: almeno provarci. La vita è anche questo: provare a far qualcosa proprio dove e quando è difficile, è dura, si muore: quanto tutto è negativo.

Dopo un volo cancellato, poi un ritardo di alcune ore, finalmente si parte: in aeroporto una signora vede i regali che ho in valigia per dei bambini poveri che vorrei incontrare e s’arrabbia con me, urlando. Non vuole e mi dice: "Perché non te vai da un’altra parte a fare questo?”. Non rispondo, la guardo e lascio che si sfoghi: sicuramente ha delle ragioni per farlo e sento nel mio intimo che non mi arrabbio e che non ci sono risposte da darle. Soffre anche lei: soffro anch’io. È il sentimento comune di chi vive, veramente, e non s’illude. La rivedo poi in aereo ed accenno ad un sorriso: lei ha finito d’urlare e s’è calmata.

In Terra Santa ti viene davvero da chiederti: ma perché, anche oggi, tutti questi morti? Perché tutti questi bambini colpiti, mutilati? Perché? Non esistono risposte facili, né soluzioni facili. Solo quel "fermatevi, vi prego" che riecheggia nella mia testa testa, gridato domenica scorsa da papa Francesco. Mi aiuta una frase letta e meditata su di un libro appena comprato, di Pasquale Foresi, edito da Città Nuova: "Il dolore non va solo subito e offerto a Dio: va abbracciato con un’anima aperta, con un’anima mistica". Ecco, mi son detto: voglio essere qui per abbracciare tutto il dolore, la divisione, la disperazione e la morte che incontrerò.

Ormai sono arrivato a Betlemme insieme ad amici: è la festa dell'Eid el Fitr e per la strada, la gente cerca di festeggiare la fine del Ramadan, anche se, non è possibile far festa pensando a Gaza ed alle vittime: in un solo giorno sono state più di cento.

Viviamo in mezzo a musulmani e cristiani, in un quartiere povero. Non lontani dalla grotta dove è nato Gesù. Sinceramente mi sento bene e voglio condividere questi giorni con chi soffre di più. Sarà un’occasione per gettare il mio, il nostro seme di fraternità, ora e qui. Sarà un’occasione per dire: andiamo avanti insieme. Perché la fraternità sarà più forte dell’odio. Ci credo. Ci crediamo. E prima d’andare a letto, sinceramente, preghiamo per tutti: per chi è morto ed anche per chi ha sparato. Perché il mondo, un giorno, cambi per davvero.

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