In viaggio per aiutare i profughi urcraini

Una storia di solidarietà verso il popolo ucraino. Un articolo scritto a quattro mani. Giovanna e Michele sono stati coinvolti in un'esperienza che ha cambiato la loro vita.
(AP Photo/Sergei Grits)

Essere amici di un prete significa condividere con lui i sogni e trovarti coinvolto in qualcosa che è al di fuori della tua quotidianità. L’amicizia con don Fausto dura da tanto. Con lui, Michele è andato tre volte in Repubblica Centrafricana ed entrambi siamo volontari dell’emittente Teleradiopace di cui lui è direttore.

Sabato 12 marzo quando vidi il suo nome sullo schermo del telefono sapevo che mi avrebbe parlato di bimbi ucraini, me ne aveva accennato prete Rinaldo, altro prete amico, ma credevo riguardasse la mia parte lavorativa. Invece la proposta netta, chiara, rivolta al cuore: «Volete andare alla frontiera con l’Ucraina a prendere 18 bimbi? Ho pensato a voi perché tu sei una mamma e Michele è una persona concreta e di buon senso». Gli ho risposto che ne avrei paralto con Michele. Si trovava davanti a casa e mi ha risposto: «Partiamo». (Giovanna)

Così il giorno dopo alle 12 siamo partiti con un pullman, noi, Elena, ucraina, Piotr, polacco, e due autisti che sono stati un grande supporto nel viaggio. Il lunedì mattina siamo arrivati a 100 km dalla frontiera: c’era la necessità di fermarci per rispettare le norme sui tempi di sosta e andando più avanti non saremmo riusciti a trovare un albergo. Nel frattempo da Chiavari srriva una notizia bruttissima: del gruppo di bimbi che avremmo dovuto prendere si erano perse le tracce, sembrava avessero avuto un grave incidente e il contatto che avevamo in Ucraina non rispondeva. Ricordo che è stato un giorno di sospensione, di ansia, di incertezza. Dentro la consapevolezza di essersi mossi per un bene più grande, per quel riconoscersi figli e fratelli a cui ci invita la parola di vita del mese. Tanti i messaggi con don Fausto, con il vescovo, alla fine la decisione: andiamo alla frontiera e raccogliamo chi c’è. (Michele)

Il martedì mattina siamo arrivati a Korczewo, in ucraino Kracoviets. Un grandissimo centro di raccolta, i polacchi fantastici, organizzati, accoglienti, pullman che ininterrottamente arrivano e scaricano mamme, bimbi, nonne. Dentro file e file di brandine, una accanto all’altra, sguardi malinconici, bimbi che giocano, zainetti, peluche. Sono pochi quelli che vogliono venire in Italia, siamo lontani, l’obiettivo è rimanere vicini per tornare in patria appena possibile, l’altoparlante ripete più volte l’avviso. Una mamma soldato ci affida i suoi ragazzi: Nadjia, 18 anni il 26 marzo e Mikhailo 12 anni; lei si ferma in patria, anche il marito è militare, c’è una nonna a Roma. Non riusciamo a trattenere le lacrime. (Giovanna)

Dopo poco più di due ore siamo pronti a ripartire: 27 persone di cui 17 minori, anzi, quasi 18 perché una mamma è incinta. Ce li guardiamo, uno per uno, con grandissima emozione e il cuore gonfio. Storie… C’è Nina, 66 anni, ne dimostra molti di più, vuole raggiungere Caserta con il suo nipotino Rosdislaw per ricongiungerlo alla sua mamma; a Chiavari però Nina si sente male e viene portata al pronto soccorso. Malgrado i consigli di ricovero, firma e viene dimessa; Rosdislaw, che nel frattempo è accolto da una famiglia della comunità ucraina di Chiavari, quando lo saluto per accompagnare gli altri alla loro destinazione, mi abbraccia: la parola che capisco è ‘papà’.

Vira ha 40 anni e sembra la sorella di Pavlo, suo figlio di 14 anni: quando recitiamo il rosario, dal sedile dietro, si unisce a noi, in ucraino. Oksana ha 44 anni, cinque figlie con sé di cui due adottate; la più grande, Anghelina, ha 24 anni e un bimbo di 4. Oksana mi fa vedere le foto di casa, ha anche un figlio maschio, è al fronte. Lidia è una nonna, nostra coetanea; le sue nipotine Dominika ed Evelina Hanno 16 e 12 anni. Lei parla italiano, ha lavorato a Napoli. Ci racconta che al suo arrivo in Italia pesava 48 chili, ma in Italia si mangia benissimo… Evelina ha voglia di imparare e traduce tutto ciò che è sotto i suoi occhi; Dominika ha lo sguardo pieno di nostalgia e un sorriso dolcissimo. (Michele)

Un’altra Oksana ha due figlie grandi, Krystina e Daryna, 20 e 16 anni e un bimbo di 20 mesi Maxime. Natalia ha 22 anni, è sola, l’abbiamo conosciuta al centro, è venuta con noi perché eravamo i primi a partire; non conosce nessuno, ma alla fine del viaggio gioca con i più piccoli. All’unadi notte, alla frontiera italiana Nadjia e Mikhailo, i due minori non accompagnati, mi sono affidati personalmente. Arriviamo a Chiavari mercoledì in mattinata; anche se siamo in piedi dalle 7 di martedì, li accompagniamo al polo sanitario dove si fa la prima accoglienza e, visto il periodo, il tampone: prima sorpresa, sono tutti negativi.

Giovedì mattina alle 7,30 una telefonata da un numero sconosciuto: «Sono la nonna di Nadjia e Mikhailo, sono in autostrada, li sto venendo a prendere». Inutile dire che c’è da fare la parte burocratica, come non capirla? Faccio un paio di telefonate, nella prima mi viene detto di chiamare il 112 e di bloccare tutto, nella seconda, al presidente dei tribunale dei minori, mi si dice che l’affido alla nonna è fattibile davanti al sindaco e ai servizi sociali.

Così, in una mattinata rigida, più simile al clima ucraino che a quello ligure, due ragazzi hanno riabbracciato la nonna, davanti al sindaco, commosso anche lui, agli assistenti sociali che hanno verbalizzato il tutto.

Domenica scorsa viene organizzata una festa; in questa occasione ci viene detto che in realtà i 18 bimbi per i quali eravamo partiti non hanno avuto alcun incidente, ma, pur essendo orfani di genitori, alcuni parenti si erano offerti di accoglierli e quindi il viaggio è stato bloccato. Non siamo proprio certi che sia così… li abbiamo affidati alla Madonna, sperando che davvero su di loro ci sia un disegno di bene. (Michele)

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