Via Appia, esclusi dall’Unesco i sentieri «non eccezionali»

La clamorosa decisione di tagliar fuori dal patrimonio mondiale i viatici della Pianura Pontina, Lanuvio e Norba Latina, «perché non strettamente collegati all’Appia», e i tratturi tarantini «per mancanza di valore eccezionale», ha incuriosito Città Nuova che si è subito messa in cammino sulla Regina Viarum per scoprire come sono andate le cose.
Via Appia oggi - Tratto Matera Foto di Michele Zasa

Vedere il nome della Via Appia scolpito nell’albo d’oro dell’Unesco era un sogno che accarezzava da sempre la fantasia di viaggiatori ed estimatori del patrimonio viario italiano. Sembrava un’impresa impossibile compendiare in un dossier gli oltre 700 chilometri di sentieri, varianti, ponti e tratturi che da oltre 2000 anni, congiungendo Roma a Brindisi, costituiscono il viatico di popoli millenari e moderni, rappresentando la strada maestra delle civiltà, culture ed economie del Mediterraneo.

Ebbene, il 26 luglio 2024 la Regina Viarum è diventata patrimonio mondiale dell’umanità. Il sogno si è realizzato, ma non per tutti. Alcuni tratti di Appia, infatti, ritenuti «non outstanding» ovvero non eccezionali, sono stati esclusi dall’Unesco, gettando così un’ombra di oblio su quei paesi che pure hanno contribuito nei secoli a corroborare la via Appia e, scambievolmente, ne hanno tratto sussistenza economica.

Unanime è conseguita la levata di scudi da parte dei sindaci dei Comuni esclusi che chiedono all’Unesco, tramite il ministero della Cultura (Mic), di reinserire nella lista quei tratti di strada “tagliati” fuori. Altrettanto repentino è stato il riscontro del ministro della Cultura Sangiuliano, che si è dichiarato pronto a intraprendere «ogni possibile iniziativa per ottenere quanto prima l’ampliamento dell’area iscritta nella lista del Patrimonio mondiale dell’Umanità».

La Via Appia candidata all’Unesco

Tutto è cominciato nel 2022 allorché il ministero della Cultura, convinto che «la Regina Viarum abbia tutte le caratteristiche per divenire uno dei più grandi cammini europei», e supportato da 4 regioni, (Lazio, Campania, Basilicata e Puglia), 12 città, 74 Comuni, 15 parchi, 25 università e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra della Santa Sede, ha avviato la candidatura della Via Appia all’iscrizione nel patrimonio Unesco.

Il dossier di un chilometro

Agli inizi del 2023 un team di esperti incaricati dal Mic ha elaborato il dossier Via Appia Regina Viarum – Nomination Format, un tomo che a lavori terminati consta di 3.000 pagine, così tante che l’una vicino l’altra raggiungono un chilometro di lunghezza.

Nel dossier la Via Appia Claudia viene candidata “unitariamente”, cioè nel suo intero percorso da Roma a Brindisi, ma per comodità metodologiche, il percorso stesso viene suddiviso nelle sue 22 “parti-componenti”, che «maggiormente rappresentano il valore universale eccezionale del bene e che meglio rispondono ai requisiti definiti dall’Unesco».

Ciascuno dei 22 tratti di Appia viene poi associato alla regione, provincia, città e paesi da esso attraversati o lambiti, affinché sia proprio la storia dei luoghi circostanti a fornire la “prova” che quei sentieri hanno un rilievo straordinario e dunque meritorio di iscrizione nell’Unesco.

Il dossier inoltre traccia le coordinate geografiche, archeologiche, antropologiche e storico-paesaggistiche di tutte le 22 parti della Via Appia e, insieme ai rilievi idrogeologici, di mitigazione climatica e naturalistica, contiene un esauriente report sugli stakeholders coinvolti nel progetto di management, valorizzazione e sviluppo.

Il report dell’Icomos

A ottobre del 2023 scende in campo l’Icomos, il Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti che, studiato il dossier sull’Appia, apre un confronto epistolare con i redattori scientifici del documento, prima di redigere a sua volta un report di valutazione tecnica che sarà scrupolosamente tenuto in considerazione dai membri stessi dell’Unesco al momento del voto a favore o contro l’iscrizione del sito nel patrimonio mondiale.

Richiesto di fornire maggiori evidenze comprovanti l’esistenza dei requisiti previsti dall’Unesco, il Mic elabora le informazioni aggiuntive, ma evidentemente esse non sono ancora sufficienti visto che in una seconda lettera l’Icomos evidenzia il permanere delle lacune nella candidatura.

È a quel punto che il Mic, a fine febbraio 2024, rilancia con un megafile di oltre 1.100 pagine in cui fornisce ulteriori prove archeologiche della connessione strutturale di tutti i 22 tratti di Via Appia con i paesi ad essi limitrofi.

Via Appia, “Tratturo tarantino” Parco delle Cave di Matera. Foto di Michele Zasa

La “decisione”

Trascorrono cinque mesi di suspense e poi a Nuova Delhi in India, il 26 luglio 2024, l’Unesco riunito nella 46esima sessione, iscrive la Via Appia, la Regina Viarum, nel patrimonio mondiale dell’umanità «per il suo eccezionale valore universale».

L’entusiasmo per la straordinaria notizia non ha ancora compiuto l’intero giro del mondo e ha da poco ultimato quello dei paesi italiani attraversati dalla Via Appia, quando si scopre che la Regina Viarum è diventata sì patrimonio Unesco nella sua interezza, ma alcuni dei suoi 22 tratti, non avendo i requisiti minimi previsti, sono stati esclusi dal prestigioso elenco.

L’ingiusta sorte di essere tagliati fuori dall’Unesco è toccata alla diramazione di Lanuvio e ai Comuni Genzano di Roma, Nemi e Velletri, perché «non direttamente collegati alla costruzione della Via Appia».

Esclusi per lo stesso motivo il sentiero della Pianura Pontina con diramazione Norba, e i paesi di Cisterna di Latina, Latina, Norma, Sermoneta, Sezze, Pontinia e Terracina.

Respinto «per le deboli prove del suo valore universale eccezionale», anche il Tratturo tarantino, l’antichissima via della transumanza che va da Altamura a Castellaneta, passando per Santeramo in Colle, Matera e Laterza.

Inclusività in nomine ipso

Nella realtà odierna pervasa dalla cultura dell’inclusività, quella decisa dall’Unesco, è un’esclusione che fa male non solo al morale, ma anche all’economia dei Comuni tagliati fuori.

Studiando le fonti del dossier si evince inoppugnabilmente che occorrono ulteriori integrazioni scientifiche affinché le evidenze fornite dal Mic a suffragio dei tratti di Appia esclusi possano legittimare la richiesta di re-inclusione.

Rileviamo, tuttavia, a compimento del lungo e avvincente viaggio di Città Nuova sulla via Appia e tra le pagine dell’immenso dossier di candidatura e dei report dell’Icomos, che l’inclusività richiesta non è fine a se stessa e dunque pretesa a tutti costi, perché, lacune a parte, basta leggere i nomi dei paesi esclusi per afferrarne in un istante la loro etimologia latina che, in nomine ipso, narra una storia avventurosa ed eroica che testimonia da sempre un profondo e intimo legame con la Via Appia.

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