Vi amerò tutta la vita
Prima scena. Mosca, 1866. Un uomo maturo, uno scrittore abbastanza conosciuto (ma all'epoca non troppo) assume una giovane stenografa perché, vincolato da un contratto capestro, è obbligato a scrivere due romanzi in tempi strettissimi. Un giorno, dopo aver finito in meno di un mese il primo romanzo, accoglie la donna raccontandole l'idea d'un nuovo lavoro: il protagonista è un pittore, attempato e malato, che aveva subito molti dolori e perso parenti e vicini…. Quindi s'addentrò così vivamente nella descrizione del pittore che la ragazza non tardò a intuire: lo scrittore parlava di sé stesso.
Il pittore s'infatuò d'una giovane ragazza, Anna, bella e intelligente… continuava il racconto. La stenografa, dimenticandosi che anche lei si chiamava Anna, si ricordò d'una Anna di cui lo scrittore le aveva parlato. A un certo punto lo scrittore chiese alla stenografa se ritenesse psicologicamente verosimile che questa giovane donna potesse innamorarsi d'un uomo così vecchio e ammalato come il suo pittore. La stenografa cominciò a dimostrare ardentemente che se quella Anna aveva un cuore buono era possibilissimo. Al che lo scrittore disse: E se vi dicessi che quel pittore sono io e la ragazza siete voi? La giovane stenografa ci mise un po' a riprendersi dallo stupore, ma poi rispose con calore: Vi risponderei che vi amo e vi amerò tutta la vita.
Seconda scena. Los Angeles, 1942. Anche qui, un uomo maturo, ormai famosissimo, un'autentica leggenda del cinema, cerca un'attrice per un suo nuovo film. Al provino, fra le molte candidate, si presenta una ragazza, giovanissima, figlia d'arte. La cosa non piace al grande regista, non gli va una tizia con un cognome così impegnativo. Ma accetta d'incontrarla. Fra i due scatta una scintilla; lei non farà mai l'attrice, ma quella sera nascerà un amore che durerà per tutta la loro vita.
Ed ora scopriamo le carte. Nella prima scena lui è nientemeno che Fëdor Michailovic Dostoevskij. All'epoca aveva 45 anni e non aveva ancora scritto i suoi immortali capolavori. Aveva avuto una vita cosparsa da sventure: i lavori forzati in Siberia, il confino, un tristissimo matrimonio con la prima moglie Maria (morta pochi anni prima dell'incontro con Anna), svariate sbandate amorose. Era anche malato d'epilessia; aveva il vizio del gioco d'azzardo, tanti famigliari da mantenere e tanti debitori che bussavano alle porte: la povertà sempre incombente. Lei, la stenografa, si chiamava Anna Snitkina, appena ventenne, una ragazza con una certa cultura (una delle poche donne laureate all'epoca), un'appassionata lettrice di Dostoevskij, calorosa e dotata di quella rarissima intelligenza del cuore che sempre le sarà riconosciuta dal futuro marito.
L'ammira zione di Anna per Dostoevskij si trasformò presto in amore. Lei seppe amare in modo sincero e totale quell'uomo particolare (a detta di molti: impossibile!), così amaramente segnato dalla vita; seppe vibrare all'unisono con la sua incredibile sensibilità artistica e spirituale comprendendone i reconditi abissi di luce e di buio; gli diede quello che a lui sempre era mancato: la stabilità famigliare, l'affetto. Il loro matrimonio fu la testimonianza d'un grande amore. È anche merito di Anna se oggi l'umanità ha Delitto e castigo, I demoni, L'adolescente, L'idiota, I fratelli Karamazov.
Nella seconda scena lui è Charlie Chaplin, un artista che dalla povertà era diventato ricchissimo, che a 54 anni aveva già realizzato la maggior parte dei suoi eccelsi capolavori di celluloide: Il monello, Il circo, La febbre dell'oro, Luci della città, Tempi moderni, Il grande dittatore. Lei è Oona O'Neill (nella foto insieme al marito) appena diciottenne, figlia del famoso drammaturgo americano Eugene O'Neill (premio Nobel per la letteratura nel '36). Chaplin era al culmine del successo, ma era pervaso dalla tristezza e dalla solitudine. Nei tre matrimoni che si era lasciato alle spalle e nelle varie avventure galanti, non aveva mai incontrato il vero amore. A quei tempi scriveva: Eccomi all'apice della carriera: tutto in ghingheri e senza un posto dove andare. Come si fa a conoscere gente interessante? Mi venne una crisi di malinconia. Si direbbe che, di fronte all'improvviso successo o nelle avversità, le nostre reazioni siano le stesse: ci sentiamo smarriti e in preda allo sgomento.
Fra Chaplin e Oona l'amore fu istantaneo; i due rimasero legati fino alla morte, in un amore, come racconta Chaplin, sereno, fedele e fortissimo. Dal loro matrimonio nacquero otto figli. Ecco cosa dicevano i due figli che Chaplin aveva avuto da precedenti matrimoni sull'incontro dei genitori: Quando Oona era con nostro padre i suoi occhi avevano un'espressione rapita. Lei sedeva calma, quieta, pendendo da ogni sua parola. Molte donne erano ammirate da papà, ma con Oona era diverso. Lei lo adorava, beveva ogni sua parola… parlava poco, ma ogni tanto usciva con parole così penetranti che stupivano anche mio padre per la loro profondità.
Oona riuscì a dare a Chaplin quella serenità che gli era sempre mancata. Sapeva leggere ogni suo insondabile pensiero, ogni sussulto della sua anima artistica; sapeva sedere per ore accanto a lui tenendogli la mano, senza parlare, quando egli era in preda a temporanee depressioni. Anche il loro fu un grande, immenso amore. Chaplin dopo il matrimonio creò ancora Monsieur Verdoux, Luci della ribalta e altri film. Ma il più grosso l'aveva già fatto. Il matrimonio con Oona sembrava una ricompensa del Cielo per quello che aveva dato all'umanità.
Oona e Anna, le loro storie così diverse, ma accomunate dal destino di essere state mogli di due geni assoluti. Ma ancora di più: d'essere state entrambi capaci di vivere accanto a quei due uomini, difficili, particolari, un'intensa vita d'amore e un felice matrimonio, pur in mezzo alle immancabili difficoltà. Dostoevskij che non aveva mai trovato la sua donna, ne aveva però tracciato il ritratto ideale nella Sonja Marmeladova di Delitto e castigo. Quasi una profezia dell'incontro con Anna.
Anche Chaplin non aveva mai trovato la donna fatta per lui: L'idea che mi ero fatto dell'amore, derivava da un manifesto teatrale nel centro del quale spiccava una fanciulla ritta su una scogliera col vento tra i capelli che guardava il mare con aria ispirata. Era il mio ideale. Mi vedevo nell'atto di giocare con lei a golf uno sport che detesto o di passeggiare all'alba sulle dune coperte di rugiada, col cuore palpitante di dolci sentimenti. Scoprì l'amore nell'incontro con Oona.
Anna, con il calore d'una espressione ardita, che solo un cuore russo può pienamente comprendere, chiamava Dostoevskij il suo dio. Ma non era invasata. Era il suo modo per dire la sua totale fedeltà e devozione al marito. Aggiungeva nel suo diario: Per me Dostoevskij non era soltanto un dio, era anche un uomo, che per molti aspetti aveva caratteristiche e manchevolezze umane. Non era sempre grande! Spesso, spessissimo, era un bambino, malato, esigente, capriccioso, incapace di adattarsi alla vita. In momenti simili mi assumevo tutto il peso della vita, tutte le preoccupazioni incombevano su di me, gli tenevo nascosti tutti i guai, le ristrettezze materiali. Non mi permettevo nemmeno di ammalarmi. Poi scriveva: Non era sempre grande… ma se alle aquile succede di abbassarsi più delle galline, le galline non si alzano mai fino alle nuvole.
Una parentesi (però pertinente!) per raccontare, così come mi viene, un fatto della vita di san Filippo Neri. A Roma in quei tempi c'era una suora che compiva miracoli. Era famosa e tanti la chiamavano santa. Il papa d'allora chiamò Filippo e gli disse: Va' a dare un'occhiata a cosa succede con quella suora, tu che di santità te ne intendi!. Filippo andò. Quel giorno nel convento c'era molta gente che pregava… ad un certo punto la suora compì il miracolo. Poi, a poco a poco la gente, piena d'ammirazione per quella donna, se ne andò. Rimase Filippo, che si rivolse a lei: Sorella, ho viaggiato molto per venire fin qui e la schiena mi fa male; per favore, potreste allacciarmi le scarpe? La suora lo squadrò allibita: Sono la serva di Dio, non la vostra. Al che Filippo commentò sottovoce: Era quello che volevo sapere.
Quando tornò dal papa, che gli chiese se quella donna secondo lui era una santa, Filippo scosse il capo tristemente e sussurrò: Le manca l'umiltà. Spesso si pensa che l'umiltà consista nello sminuirsi, nell'abbassarsi di fronte ad un'altra persona. Ma non è così. L'umiltà è intelligenza sublime. La suora del nostro racconto non aveva capito che di fronte a lei non c'era solo un povero prete un po' insolente, ma c'era Gesù; Gesù presente nel fratello. Per questo Filippo aveva scosso il capo: quella suora non aveva visto! L'umiltà è tutta compresa nel grandissimo atto d'intelligenza del vedere. Vedere l'altro per quello che realmente è; vedere sé stessi come si è realmente.
Sia Anna che Oona, non si erano sacrificate e annullate per i loro difficili e geniali mariti: avevano visto. Avevano avuto la grandissima intelligenza del cuore di vedere nei loro sposi quello che veramente erano nell'intimo della loro anima. Per questo hanno saputo amarli, renderli felici ed essere felici loro stesse. Anna e Oona ci rivelano un atteggiamento che dovrebbe essere quello di tutti gli sposi, donne o uomini che siano. Anna Snitkina prima di morire confidò al medico: Il sentimento va trattato con cautela, affinché non si spezzi. Nella vita non c'è nulla di più prezioso dell'amore. Bisogna perdonare di più, ricercare le proprie colpe e smussare i disaccordi con gli altri. Bisogna scegliersi una volta per sempre e irrevocabilmente un dio, e servirlo per tutta la vita. Mi sono data a Fedor Michailovic quando avevo vent'anni. Adesso vado per i settanta, ma gli appartengo ancora, con ogni pensiero, con ogni azione…..