Vestitemi a fiori gialli e rossi e con ali di uccelli
Ricordando Adriana Zarri, teologa, giornalista e poetessa.
Nella notte di venerdì è morta a 91 anni Adriana Zarri, teologa scomoda, poetessa, eremita sempre in cerca di un dialogo con il mondo, donna libera, sempre critica, spesso isolata e fuori dal coro, talvolta inopportuna, sempre personale.
Adriana Zarri era nata a San Lazzaro di Savena nel 1919, vicino a Bologna, in una famiglia di origini popolari e contadine. Divenuta giornalista si era dedicata a questa attività con passione ed energia cercando di mettere in luce gli aspetti della realtà più nascosti e dimenticati. Poi nel 1975 la svolta: Adriana viene colta da una comprensione più profonda della vita e dal desiderio di ritirarsi in una vita eremitica in un cascinale di campagna. Lascia tutto, la città, il lavoro, gli amici, l’impegno ecclesiale. Comunica la propria decisione agli amici tramite una lettera – ritratto del suo spirito anticonvenzionale – che annuncia un imminente trasloco, non «dovuto a motivi pratici ma a causa di una scelta di vita eremitica. La mia nuova residenza sarà, infatti, una vecchia cascina solitaria, dove trascorrere i restanti anni della mia vita nella preghiera e nel silenzio». Da quel momento sceglie uno stile di vita improntato alla sobrietà, immersa nella natura, circondata dagli animali che amava. Si ritira dapprima ad Albiano, poi a Fiorano Canavese, in Piemonte e, infine, a Strambino, in provincia di Torino.
Cosa l’aveva spinta a ritirarsi dal mondo? Questa scelta di vivere da eremita è stata per Adriana l’occasione per coltivare nel quotidiano e con radicalità assoluta il momento dell’incontro con Dio. Lasciare spazio a Dio, lasciare che si manifesti nel silenzio di un giorno feriale. «Dio non può venire dimostrato con argomenti alla vista e alla ragione, ma è conosciuto nell’esperienza di amare gratuitamente – ha scritto in uno dei suoi ultimi articoli sul Manifesto. – Se qualche volta posso fare questo, se qualcuno lo fa per me, è perché Dio c’è e vive in noi, più vivo di noi. Non si dimostra con un teorema, e non si media con un teorema. Non occorre che lo chiamiamo Dio o in altro modo, basta che la vita sia creazione libera e attiva di relazione buona».
È l’amore l’essenza del cristianesimo, un amore che nel pensiero teologico della Zarri supera e trascende ogni status di perfezione. «Una volta mi definivo in un qualche modo. Adesso non mi definisco più in nessun modo perché credo che la cosa più importante sia essere cristiani, se ci riusciamo. Che poi siamo eremiti, cenobiti o qualsiasi cosa, è molto secondario».
Adriana si è ritirata dal mondo fisicamente, ma ha continuato ad occuparsi del mondo con impegno e vivacità, partecipando al dibattito pubblico ed ecclesiale con posizioni autonome, spesso scomode, contestate, talvolta in forte contrapposizione con le gerarchie ecclesiali. Era solita affidare le sue parole più profonde e appuntite ai tasti di una vecchia macchina da scrivere Olivetti, mandando poi via fax i suoi articoli ad alcune delle più importanti riviste culturali italiane (Concilium, Rivista di Teologia Morale, Micromega, Servitium, La Rocca, Il Manifesto).
«Donna d’azione che nel suo eremitaggio ha saputo parlare al mondo con voce forte», ha scritto nel suo necrologio la casa editrice Einaudi, per cui uscirà a febbraio il suo ultimo libro Un eremo non è un guscio di lumaca.
Si è spenta una voce che dal silenzio della sua solitudine sapeva parlare al mondo. Diviene ancora più urgente trovare parole forti e nuove che sappiano risuonare nel chiasso confuso delle nostre comunità.