Vertice dei Paesi non allineati

Riuniti nella capitale iraniana i rappresentanti di 120 nazioni per siglare accordi economici e politici, ma non emerge una linea comune sul conflitto siriano. Intervista a Vincenzo Buonomo, docente di Diritto internazionale alla Pontificia università lateranense
Vertice dei Paesi non allineati

La notizia è passata un po’ sotto silenzio, per lo meno sui grandi media italiani, eppure il vertice dei Paesi non allineati in corso a Teheran vanta numeri e partecipanti di tutto rispetto. Sono infatti riuniti nella capitale iraniana i rappresentanti di 120 nazioni, nonché 36 tra capi di Stato e di governo. Un successo di immagine, per il Paese ospitante, per una settimana protagonista sulla scena internazionale, in barba ad ogni tentativo di isolamento e di embargo voluto dagli Stati Uniti.
 
Aprendo i lavori in veste di segretario generale uscente del Movimento dei Paesi non allineati (Nam), il presidente egiziano Muhammad Morsi con il suo intervento ha scompigliato un po’ le carte: criticando il regime di Damasco, ha invitato le varie forze di minoranza a unirsi, provocando l’uscita dai lavori dei rappresentanti del governo siriano. Un piccolo scacco per l’Iran, che intendeva invece fornire un appoggio e trovare una linea comune per gestire il conflitto in Siria. Ma se l’unità di pensiero, all’interno del Nam, è lontana, il vertice si è rivelato comunque una grande opportunità per i partecipanti, che ne hanno approfittato – spiega Vincenzo Buonomo, docente di Diritto internazionale presso la Pontificia università lateranense – per siglare accordi economici e politici bilaterali.
 
Professore, qual è l’importanza di questo vertice?
«Il Movimento dei Paesi non allineati nasce negli anni Cinquanta, quasi in contemporanea con l’Onu, con la finalità di riunire Paesi che rivendicavano una posizione autonoma rispetto ai due blocchi allora esistenti (la Nato e coloro che aderivano al patto di Varsavia). Oggi le rivendicazioni dei Paesi non allineati sono soprattutto di tipo economico e, quindi, politico, rispetto al grande mercato europeo, alla Cina, agli Stati Uniti. Non a caso la leadership del movimento è nelle mani di Paesi di sviluppo recente, che avanzano non soltanto una richiesta di legittimazione, ma soprattutto un riconoscimento in quanto operatori economici e politici. Considerando la troika alla guida del movimento – il segretario uscente è l’egiziano Morsi, il nuovo è il leader iraniano Ahmadinejād, mentre il futuro segretario sarà il presidente venezuelano – e considerando anche la posizione sempre un po’ marginale della Cina, che si pone talvolta al di dentro e talaltra al di fuori del Nam, prevedo sviluppi futuri interessanti per questa organizzazione».
 
Tra gli argomenti in discussione c’è la situazione siriana, ma sulla gestione della crisi sembra difficile un accordo…
«Il primo dato da analizzare è l’area in cui si svolge il vertice e la sua situazione specifica: il mondo arabo islamico, che non è unito sulla questione siriana. La maggior parte dei Paesi appartenenti alla Organizzazione della Conferenza islamica, Paesi a maggioranza sunnita, vuole un cambiamento di governo in Siria – quello attuale è espresso da una minoranza alawita – e chiede all’opposizione di unirsi, mentre l’Iran, Stato in cui prevalgono gli sciiti, continua a sostenere l’attuale gestione sentendo la minaccia di un accerchiamento sunnita nel caso cadesse il governo di Assad».
 
Si è parlato anche di energia nucleare, con l’Iran che rivendica il diritto di produrla, anche se non per la costruzione di armi.
«L’Iran ha cercato visibilità e, anche se questo vertice non è il luogo adatto per discutere di questo tema, ne ha approfittato per rivendicare un proprio interesse nazionale. Dell’effettivo impegno nucleare del Paese, tuttavia, bisognerà discuterne in altri contesti, con l’Onu e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Ma è normale che ogni Stato persegua come può i propri obiettivi».
 
Quali sono le vere finalità del vertice di Teheran?
«Le cancellerie di diversi Paesi guardano a questi incontri come la possibilità per gestire situazioni che, se si allargano, possono diventare pericolose per la stabilità internazionale. E questo soprattutto quando le maggiori istituzioni internazionali mostrano i propri limiti. A questo proposito il caso della Siria insegna. Tuttavia, nonostante uno scacchiere internazionale instabile, questi incontri offrono l’opportunità di trovare contesti nei quali avere colloqui informali e, a Teheran, molti Paesi hanno già raggiunto intese che sfoceranno in accordi bilaterali soprattutto relativi alla materia energetica: un fattore geopolitico da valutare con attenzione».
 
Il Nam si pone come seconda organizzazione mondiale, per importanza e numero di membri, dopo l’Onu. È un elemento positivo o di cui preoccuparsi?
«Bisogna fare un distinguo. L’Onu è una struttura internazionale con organi che lavorano in modo permanente per fronteggiare situazioni internazionali relative alla sicurezza, all’ambiente, alla giustizia internazionale… Il movimento dei Paesi non allineati non ha una struttura politica ben definita e non opera in maniera continuativa. Si riunisce periodicamente, orienta – ma con difficoltà – la posizione dei suoi membri nelle varie organizzazioni internazionali, ma niente di più. Tuttavia, ha un suo impatto politico e propositivo di nuove forme di integrazione tra Stati. Questo ripropone il problema della riforma delle istituzioni internazionali: il metodo adottato dopo la Seconda guerra mondiale non è più risolutivo, ben vengano quindi le riforme».
 
Il segretario dell’Onu Ban Ki-moon è a Teheran, e la sua presenza ha dato una particolare legittimazione al vertice. È davvero così?
«La presenza del segretario dell’Onu a Teheran, in realtà, può essere letta come una forma di routine, perché Ban Ki-moon partecipa a tutti i grandi vertici internazionali; è stato in Asia, in Sudafrica, la sua è una presenza protocollare, per mostrare che in fondo c’è un collegamento tra tutti questi incontri. Ma in questo caso c’è anche l’interesse per la crisi siriana».
 
Tra i Paesi che compongono il Nam ci sono le nuove grandi potenze economiche. È sempre più urgente una revisione effettiva degli equilibri economici mondiali?
«Al Nam partecipano anche i Paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), cioè le grandi economie emergenti e il Brasile, proprio in occasione del vertice di Teheran, ha riproposto la questione della gestione finanziaria internazionale, affermando che non è più possibile che grandi organismi come il Fondo monetario e la Banca mondiale siano gestiti in modo condiviso solo da europei e americani: quel tempo è finito, è necessario che anche i Paesi di nuovo sviluppo abbiano un ruolo. E del resto, come si fa a escludere, in un mondo globalizzato, il Brasile? È una grande potenza economica che avanza in un contesto che lo ritiene ancora un Paese in via di sviluppo: una contraddizione da risolvere, una delle sfide che ci attendono».

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