Vertenza Alcoa, la disperazione delle famiglie

Ma l'azienda non è l'unica in difficoltà: tutta l'economia sarda vacilla sotto gli effetti della crisi e per la macanza di infrastrutture
operai alcoa protesta a roma

Non si attenua la protesta degli operai Alcoa dopo la manifestazione romana e sarà così finché non arriverà una proposta in grado di evitare la chiusura dello stabilimento, anche se oggettivamente le condizioni attuali non sono di certo favorevoli.
 
Dal 2009, anno dell’annuncio di chiusura dello stabilimento da parte della multinazionale americana, ad oggi, nulla o quasi è stato fatto per trovare una soluzione al “problema dei problemi”, ovvero i costi energetici, palla al piede della Sardegna. La totale mancanza di infrastrutture è il vero tallone d’Achille dell’economia sarda.
 
Nel frattempo, però, migliaia di famiglie vivono nell’incertezza. Come quella di Pietro, 50 anni, metà dei quali passati in quello stabilimento che negli anni Novanta venne ceduto agli americani dall’Efim, Partecipazioni statali, come la quasi totalità delle industrie localizzate in Sardegna. «Mi dici come posso alla mia età trovare un posto di lavoro? Quale impresa può assumermi a 50 anni, poi qui dove la disoccupazione è alle stelle? Io non voglio il sussidio, voglio lavorare. Chi ci governa deve mettere le imprese nelle condizioni di poter produrre. Non spetta a me trovare una soluzione, ma i politici regionali di tutti gli schieramenti e i governi succedutisi avrebbero dovuto farlo, invece non hanno fatto nulla. Ora spetta a loro trovare una soluzione prima che la gente perda la testa».
 
Accanto a Pietro c’è la moglie Cecilia, anch’essa operaia nel polo industriale di Portovesme in una ditta dell’indotto. «Lavoro part time per 15 ore settimanali – dice – e non voglio credere a un futuro fatto di miseria e aiuti della Caritas. Vorrei continuare a lavorare ma se lo stabilimento si fermasse è certo che la nostra famiglia sarà una delle tante che vivrà in povertà. Non è accettabile. Abbiamo due figli, uno sta per diplomarsi e spero possa trovare lavoro, non certo nel Sulcis; come tanti andrà via da qui». La famiglia di Pietro e Cecilia è solo una delle tante che vive nell’incertezza più assoluta.
 
Il Sulcis continua così a scivolare verso il baratro di una povertà sempre più grande. Qui i giovani sotto i 30 anni sono per metà senza lavoro, la sola città di Carbonia perde quasi 50 residenti al mese: chi parte è per lo più diplomato o laureato e si dirige nelle città del Nord Italia e dell’Europa, ma c’è chi vola fino in Australia e Nuova Zelanda, Paesi in grado di accogliere giovani europei preparati e formati.
 
Chi resta cerca di barcamenarsi tra sussidi e qualche lavoretto, così come accade anche a Porto Torres, dove la vertenza Vinlys sembra essere stata dimenticata dai media. Ora in attesa di risposte da possibili acquirenti due operai sono su una torre a 100 metri dal suolo: chiedono ciò che tanti, troppi, in Sardegna domandano: certezza per il futuro.
 
C’è poi la Carbosulcis la cui vertenza è subito tornata sui binari della normalità, dato che è la regione, proprietaria della società, a dover trovare una soluzione, anche se pure qui costi di avvio e gestione dell’impresa sono molto alti, circa 250 milioni di euro annui.
 
Infine anche il centro dell’isola ha la sua bella vertenza. Ad Ottana, negli anni Settanta è nata l’industria di Stato: a detta della commissione parlamentare di inchiesta “Medici” avrebbe dovuto debellare i fenomeni criminali. Invece il polo chimico è imploso, vista la quasi assenza di infrastrutture (non c’è ferrovia, né porto né tanto meno un aeroporto) ed ora anche il gruppo Clivati ha annunciato la mobilità per 250 addetti. «Il ministero dello Sviluppo economico, Terna, Enel e le altre società a partecipazione statale che operano nell’isola – ha detto Paolo Clivati – continuano a non tenere in debito conto il potenziale di disperazione che si sta creando con l’approssimazione, il disinteresse e la miopia sulle scelte industriali che si stanno compiendo ora in Sardegna».
 
Insomma il messaggio è chiaro. È necessario ripensare a una nuova politica industriale, anche se i tempi saranno lunghi e magari non pagherà immediatamente sotto il profilo elettorale, ma è l’unica strada. Nel frattempo strumenti come micro imprese e credito agevolato per l’imprenditoria giovanile potrebbero rivitalizzate il tessuto produttivo sardo.

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