Verso un Concilio Vaticano III?

La presidente dei Focolari, nel libro “La scommessa di Emmaus” propone aperture interessanti sulla Chiesa, sul Conclave e anche sul senso del Concilio. Vi proponiamo una delle sue risposte a chiusura della rubrica
Emmaus - libro-intervista

Il prossimo 11 ottobre ricorrerà il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, inizio di una nuova stagione nella Chiesa, un segnale di rinnovamento e di grande novità, che nel tempo ha visto appannarsi la spinta al nuovo e alle inevitabili frontiere che il cristianesimo deve scavalcare.

Nel libro-ntervista di Paolo Lòriga e Michele Zanzucchi, La scommessa di Emmaus, cosa fanno e cosa pensano i focolarini nel dopo Chiara Lubich (Città Nuova editrice, pp. 192, € 14,00), Maria Voce pone l’accento sul ruolo che questo momento storico ha avuto per la cristianità e che non può essere dimenticato, anzi la sua attualizzazione è urgente. 
 
C’è bisogno di un Vaticano III? Il Vaticano II ha enunciato principi, alcuni li hai già ricor­dati: la Chiesa-comunione, i segni dei tempi, il dialogo. Non servirebbe forse ora un Concilio che riuscisse a passare alla fase attuativa dei principi del Vaticano II?
 
Mi sembra che abbiamo ancora tanto da vivere e rea­lizzare dello straordinario patrimonio del Concilio Vaticano II… Le sfide tuttora aperte sono quelle di attuare quello che ha voluto indicare e di far diventare più capillare la cono­scenza dei contenuti e delle novità presenti nei documenti conciliari.
 
La questione, a mio parere, non è tanto riunire nuovamente tutti i vescovi a Roma per trasformare quello che è stato il programma del Concilio Vaticano II in una sua attuazione. Piuttosto, quello che serve è un lavoro più a livel­lo di Conferenze episcopali, di Sinodi locali, per dare compi­mento effettivo all’opera di recezione del Vaticano II.
 
Adesso ci sono le condizioni per portare a termine la fase di piena recezione, perché la gerarchia si è completa­mente rinnovata in questi cinquant’anni. I vescovi sono ora più aperti ad accogliere i pronunciamenti del Concilio, che allora delinearono una visione di Chiesa troppo diversa ri­spetto alla fisionomia reale del tempo e avvertita perciò come non facilmente attuabile.
A tal fine la maturazione del laicato dovrebbe contribu­ire in modo considerevole. Sino a pochi anni fa, i laici sono stati tenuti in subordine. Adesso i laici sono più maturi, più responsabili, e potrebbero concorrere in maniera non mar­ginale nella preziosa opera di trasferimento dei principi del Vaticano II nella popolazione credente. Si continua a parlare della Chiesa-comunione, ma rimane sempre una dichiara­zione generale, un’espressione di cui nessuno sa l’autentico significato.

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