Verso un centro di gravità permanente, il Piano B per l’Italia secondo Becchetti
Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia presso l’Università di Roma Tor Vergata, varca spesso le mura dell’accademia per mettersi al servizio di ciò che emerge nel vasto mondo dell’associazionismo in Italia, vera ricchezza originale del Paese, cercando di promuovere reti come Next, Nuova economia per tutti, e tanti altri percorsi che esprimono il mondo dell’economia civile senza perdere di vista il dibattito sulle scelte politiche.
Ha promosso in tanti modi il cosiddetto “voto con il portafoglio”, cioè l’orientamento dell’economia a partire dalle scelte di consumo personali e collettive, ma ha sempre avuto presente la centralità dei contenuti per la partecipazione che avviene in democrazia con la scheda elettorale. Ha curato così una raccolta di saggi dal titolo Piano B. Uno spartito per rigenerare l’Italia pubblicato da Donzelli editore.
Parlare di piano B vuol dire che quello A è fallito. Di cosa parliamo?
Parliamo di una cultura occidentale che ha smarrito la chiave fondamentale dell’intelligenza relazionale, che chiamiamo più semplicemente fraternità. Delle tre grandi parole della rivoluzione francese il movimento liberale e quello socialista hanno sviluppato ed approfondito libertà ed eguaglianza mentre la fraternità è ammuffita in soffitta. Ma un mondo senza fraternità è un mondo disumano, dove vincono in politica internazionale logiche puerili come quelle che ci hanno portato agli attuali conflitti globali. Un mondo senza fraternità è anche un mondo triste e più povero perché la cooperazione è matrice di fertilità sociale ed economica.
Dall’elenco dei contributi del testo che presenta il piano B, sembra di vedere il ceto intellettuale cattolico che è emerso nella chiesa post ruiniana. Non vi va un po’ stretto il ruolo di “consiglieri del principe” senza misurarvi con l’impegno politico diretto?
La crisi della democrazia è profonda e non si risolve con la nascita di un nuovo partito. Ci vuole un cambiamento più radicale che parta dai punti forti della nostra società. Ci vuole uno s-partito in grado di attrarre partiti vecchi e nuovi ed opinione pubblica verso un centro di gravità rappresentato da un sistema di buone prassi che si sono progressivamente affermate nella società civile e riflettono una nuova visione condivisa. Uno s-partito è più ambizioso e generativo di un partito che deve spendere tre quarti delle proprie energie lottando per combattere gli altri partiti e per la propria sopravvivenza. Uno s-partito di successo può essere suonato da tante orchestre e da tanti suonatori realizzando l’obiettivo trasformativo che si propone. Così già è oggi per tante piccole parti di questo spartito come amministrazione condivisa, lavoro in carcere, finanza etica, comunità energetiche. Le idee che hanno dato vita al nostro s-partito hanno una forza di azione politica che è arrivata sino alla riforma della Costituzione approvata all’unanimità dalle forze politiche (la riforma proposta da Asvis degli art. 9 e 41).
A tal proposito, professore, lei ha sperimentato la difficoltà a cambiare, ad esempio, le regole sui sussidi ambientalmente dannosi facendo i conti con i poteri reali. Non rischia di essere solo cosmetico inserire lo sviluppo sostenibile in Costituzione?
Le norme costituzionali sono riferimento fondamentale, formale e sostanziale, per leggi, diritti e doveri. E hanno un impatto molto importante non solo nella realtà giuridica e politica, ma anche nella cultura di un paese. Il fatto che esistano è una garanzia che in caso di violazione dei principi a cui esse fanno riferimento ci sia una possibilità d’intervento e di correzione. Senza trascurare la concretezza delle realizzazioni economiche, le norme costituzionali hanno pertanto un ruolo fondamentale nell’orientare le scelte dei cittadini e delle imprese.
Prima di ogni progetto economico sociale incombe la realtà della guerra mondiale a pezzi. Non sembra che ci sia unità di visione e proposte tra gli estensori del piano B. Avete una posizione comune sulla questione ucraina e su quella israelo-palestinese?
La logica della fraternità e dell’intelligenza relazionale serve anche a comprendere la “demenza” del ragionamento bellico… pensare che il successo (anche solo economico) possa essere legato a contendersi un brandello di terra è veramente primitivo. Come sappiamo bene in economia, il valore dipende dalla capacità d’innovare che è funzione di relazioni e diversità. Germania e Francia e altri paesi fondatori lo hanno capito bene quando, dopo la Seconda guerra mondiale, hanno deciso che era il caso di smettere di scannarsi per la contesa di risorse e hanno messo in comune carbone ed acciaio facendo nascere la CECA, che è stato il primo embrione dell’Unione Europea. La nostra posizione è quella di applicare i concetti di fraternità e intelligenza relazionale anche al contesto nel quale le relazioni sono in partenza più deteriorate come in quello bellico. Questo significa concretamente che, partendo da quelle situazioni difficili, bisogna mettere il massimo degli sforzi in strategie di de-escalation e nella diplomazia, per far finire prima possibile i conflitti. Conflitti che nel mondo di oggi iper-armato creano enormi pericoli di escalation e quasi mai si concludono con un vincitore.
Nell’incontro pre elezioni politiche in cui ha fatto le prime presentazioni della bozza dello “s-partito per l’Italia” è stato significativo vedere, assieme ad esponenti del centro sinistra come Delrio e Muroni, anche Lorenzo Malagola, poi eletto con FdI, che vuole declinare alcuni temi del piano B nella nuova destra conservatrice della Meloni. La trasversalità possibile della proposta non rischia di perdere una visione globale di ordine politico e sociale?
No, perché la logica e l’obiettivo di Piano B non sono quelli di rincorrere le idee dei partiti, ma di indicare uno s-partito di progresso sociale nato originalmente dalla riflessione sulle buone pratiche civili. Quanto più i partiti si avvicinano a noi su quella materia tanto più li sentiamo vicini a Piano B. La sfida è che funzioni una forza di gravità che spinga verso la nostra direzione, sia per la qualità e la capacità di attrazione delle idee e delle proposte in sé, sia per l’attenzione strategica delle forze politiche alla massa critica dei cittadini che si riconoscono nel piano B. In questo senso aderire a Piano B è come votare per lo spartito e favorirne l’affermazione.
Il recente rapporto Draghi sulle prospettive necessarie al futuro dell’Europa va nel senso della riforma da voi indicata?
Il rapporto Draghi si concentra sul tema della competitività europea e di un problema che c’è. Le istituzioni europee hanno lavorato molto per garantire la concorrenza all’interno dell’UE, ma non tra l’UE e i giganti internazionali. In questo modo hanno favorito il frazionamento, ridotto le economie di scala e la nostra capacità di competere con USA e Cina. Il nostro punto però è più profondo. Parte innanzitutto dall’idea che il fine ultimo della vita economica non è il benessere del consumatore (assicurato da prezzi più bassi possibili ottenuti non importa come), ma sono la generatività, la soddisfazione e la ricchezza di senso di vita. C’è bisogno innanzitutto di rimettere al centro della vita sociale ed economica le cose più importanti (senso della vita, relazioni, pari opportunità) e poi tutto il resto. Un conto è essere competitivi o leader nella transizione ecologica, nella qualità dello stato sociale o nella capacità di creare le condizioni per una vita di relazioni di qualità, un conto è esserlo in direzioni non compatibili con la sostenibilità e la generatività sociale.
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