Verso l’era dell’inclusione

A piccoli passi si sta sviluppando una nuova concezione del rapporto tra diversamente abili e normodotati. Perché non è detto che la norma esista.
Verso l'era dell'inclusione

Ormai viene la nausea a sentirselo ripetere: c’è crisi. Il lavoro non si trova, alcuni lo perdono. Le ferie non iniziano sotto i migliori auspici: chi le riduce, chi non le fa proprio. Sembrerebbe che sia un momento poco favorevole per fare passi avanti nell’integrazione dei disabili nel contesto lavorativo e sociale. Eppure qualcosa si sta muovendo.

 

Un lavoro a misura di tutti

 

Uno dei problemi per chi soffre di disabilità è la ricerca di un lavoro: nonostante la legge italiana imponga alle aziende obblighi precisi, viene facilmente aggirata approfittando di carenze nei controlli e sanzioni irrisorie. Certo, esistono difficoltà oggettive; ma c’è chi si sta impegnando per risolverle. Tra questi la Fondazione don Gnocchi, che ha promosso la ricerca “Disabilità e lavoro: un binomio possibile”. Questa definisce le direttrici per l’inclusione non solo di diversamente abili, ma anche di infortunati, o di chi abbia necessità particolari.

Il vizio di partenza, fanno notare gli autori, è progettare tutto – dai mobili, agli attrezzi, agli studi su rischi e sicurezza – sulla base di un presunto uomo medio, alto un metro e ottanta e con capacità fisiche standard invariabili nel tempo: un modello che certo non si adatta alla maggior parte della popolazione. Mancano poi studi sul possibile aggravamento della disabilità in seguito agli sforzi cui il lavoratore è sottoposto. Carenze che si traducono in penalizzazioni: anche se il disabile viene assunto, corre il rischio di trovare ambienti e attrezzature non adatte a lui. Come tradurre in pratica il concetto di reasonable accomodation, ossia l’accessibilità complessiva dell’ambiente di lavoro – qualcosa in più del semplice adattamento – senza costi eccessivi?

 

Progettazione inclusiva

 

La risposta è la progettazione inclusiva: un modo di fare architettura e design che supera la contrapposizione tra progettazione standard e per disabili, giungendo all’accoglienza di tutte le diversità. Come spiega l’architetto Paola Bucciarelli, l’approccio inclusivo parte dalla centralità della persona nelle sue molteplicità: la mamma col passeggino, la persona bassa che non arriva agli scaffali, l’anziano.

Un buon ambiente deve essere a misura di tutti: ecco dunque non solo le rampe per sedie a rotelle, ma anche tavoli e sedie ad altezza regolabile, tastiere inclinabili per computer, ed altro ancora. L’ingegner Renzo Andrich auspica che il nostro secolo passi alla storia come era della progettazione inclusiva. All’interno di una tale visione la disabilità non è un handicap – termini considerati sinonimi – ma solo una delle tante diversità.

Anche Internet aiuta: è stato creato il portale italiano delle tecnologie assistive (www.portale.siva.it), un motore di ricerca per i prodotti di supporto ai disabili, che ha il suo corrispondente europeo (www.eastin.info). Il Comune di Roma ha inaugurato una banca dati dei lavoratori disabili, che permette di facilitarne l’inserimento lavorativo.

 

La città che accoglie

 

Ma è necessario che anche la città accolga tutte le diversità. Anche qui si sono fatti passi avanti. Tra questi, il Libro bianco sull’accessibilità e la mobilità urbana. Risultato della collaborazione tra Comune di Parma e tre associazioni di diversamente abili – Fish, Fand e Fiaba –, contiene dei suggerimenti pratici per gli enti locali sulla progettazione di servizi per tutti: pedane degli autobus, ascensori, corrimani.

Per la promozione e il coordinamento di queste azioni è stata auspicata la creazione della figura del disability manager, un tecnico che sovrintenda al tutto. Dal prossimo anno partiranno i corsi di formazione, grazie ad un accordo tra l’Università cattolica di Milano e l’Università di Parma. Sfatato dalla giunta parmense il mito che costruire “per tutti” sia troppo oneroso: costerebbe solo l’1 per cento in più.

 

Tempo di ferie

 

Come dimenticare le sospirate vacanze? Anche qui la mentalità inclusiva si sta facendo strada. È stata da poco inaugurata a Roma “Diverso viaggiare”, la prima agenzia specializzata in turismo accessibile. Promossa dall’associazione “Dopo di noi” e dal Comune di Roma, fornisce informazioni sulla praticabilità di musei, hotel e ristoranti, ed organizza tour adatti anche a diversamente abili, anziani, donne incinte o con bambini piccoli. Uno stimolo per le strutture ricettive ad accogliere tutti, così da essere segnalate.

Le iniziative sono numerose: il Comune di Montesilvano ha messo a disposizione delle sedie a ruote in grado di muoversi sulla spiaggia; il Fondo italiano per l’abbattimento delle barriere architettoniche sta lavorando ad un portale nazionale che contenga tutte le informazioni sul turismo accessibile.

Le belle idee, però, rimangono tali se non sono accompagnate da un cambiamento di mentalità. Una mentalità che contrappone normale e diverso, senza rendersi conto – vedi il prototipo di uomo medio – che la normalità è un concetto relativo. La chiave è non concepire la diversità come disabilità e la disabilità come handicap. Siamo parte di un’unica famiglia in tutta la nostra varietà, e far sì che l’ambiente in cui viviamo ne sia espressione non è solo giusto ma anche doveroso. Perché – come ha affermato l’ingegner Andrich – un mondo che accoglie tutti è un mondo più unito.

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