Verso l’economia civile
A partire dal 2000, con il primo congresso del Movimento politico per l’unità, Chiara Lubich lanciò l’idea della fraternità come nucleo centrale del nuovo Movimento, proponendola, negli anni successivi, in occasione di discorsi in numerose sedi istituzionali e culturali del mondo. La fraternità, nella prospettiva di Chiara, non è soltanto il nucleo del pensiero e dell’agire politici, ma può avere un ruolo fondativo anche in altri ambiti. E’ ciò che dimostrano Luigino Bruni e Stefano Zamagni nel loro recente libro (Bruni L., Zamagni S., Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino); i due studiosi, già da tempo impegnati nel tentativo di dare una nuova base alla riflessione e alla pratica dell’economia, hanno saputo cogliere l’importanza dell’idea di fraternità e tradurla, per così dire, nei termini rigorosi della loro scienza. Essi svolgono, nel loro modo, una lettura parallela a quella condotta dalla riflessione politica del Movimento della Lubich, che ragiona sui tre princìpi del trittico francese: libertà, uguaglianza, fraternità. Questi tre princìpi diventano, in economia: principio dello scambio di equivalenti ( o principio di efficienza, il cui attore è il mercato), redistribuzione (principio di equità, tradizionalmente assicurato dallo stato), e reciprocità (principio che presuppone la cultura del dono e delle relazioni personali fiduciarie). Nella loro originale sintesi, Bruni e Zamagni superano l’idea statica della divisione dell’economia in settori, e aprono una prospettiva dinamica all’interno della quale i tre princìpi interagiscono fra Verso l’economia di loro sotto la prospettiva determinate della fraternità. Facciamoci spiegare come funziona. Prof. Zamagni, che cosa intendete con economia civile? Nel libro evitiamo di darne una definizione, perché definire significa mettere dei confini. Quella dell’economia civile è, piuttosto, una prospettiva, dalla quale si osserva la realtà dell’economia. Per noi è necessario, oggi, andare oltre il paradigma dominante in economia, che è quello dell’individualismo, senza però negarne i punti di validità che devono essere conservati. Ciò che caratterizza la prospettiva dell’economia civile è la considerazione congiunta dei tre princìpi di un ordine sociale avanzato, e cioè: il principio dello scambio di equivalenti, il principio di redistribuzione e il principio di reciprocità. Mentre la prospettiva dell’economia neoclassica tradizionale ha eliminato il principio di reciprocità; e la prospettiva marxista in senso lato trascura invece il principio dello scambio di equivalenti. I tre princìpi spiega il prof. Bruni sono tutti fondativi: non c’è umanesimo senza uno solo di essi; ma se ce n’è uno che risulta più primitivo degli altri due, ed è dunque fondativo degli altri due, è quello della reciprocità; perché se non ci si scopre, a un livello profondo, come parte della stessa comunità, se non ci si sente legati da un patto, allora le attività economiche diventano disumanizzanti. L’economia civile è interpretabile come un nuovo settore dell’economia? L’economia civile riprende Zamagni non è un settore come si dice, per esempio, del terzo settore ; proprio perché è una filosofia, uno sguardo sul mondo, l’idea dell’economia civile è che quando uno dei tre princìpi manca, l’economia non genera né progresso né felicità. I soggetti possono essere anche quelli dell’economia tradizionale, per esempio lo stato, o i soggetti dell’economia privata capitalista; purché accettino di non considerarsi in maniera assolutistica rispetto agli altri. Il limite dell’economia tradizionale è quello di considerare come forma naturale di impresa quella dell’economia capitalista, giudicando le altre marginali o temporanee; ugualmente, gli approcci neostatalisti considerano naturale la forma dell’impresa pubblica, e residuali le altre. Il problema non è quello della definizione giuridica dell’impresa, ma di ammettere che c’è un modo di organizzare la vita economica tale da dare giustizia a tutte e tre le forme economiche cui abbiamo accennato. Quali sono i soggetti dell’economia civile? È chiaro che, per questo, c’è bisogno di soggetti di impresa che abbiano usando un termine della teoria dei giochi una fitness [che siano appropriati] molto elevata, perché svolgono il ruolo del lievito. Come una piccola dose di lievito è capace di fermentare un’intera massa di pasta, analogamente c’è bisogno che ci siano dei soggetti che, per usare un ter mine non economico, all’interno della realtà economica svolgano un ruolo profetico, in modo da influenzare anche gli altri ambiti, perché altrimenti rischieremmo di avere una società divisa: da una parte imprese buone, che fanno le buone azioni, dall’altra quelle cattive. In conclusione, il nostro obiettivo di far capire che non ci può essere vero progresso economico se continuiamo ad andare avanti con la logica dei settori, delle sfere separate che interagiscono soltanto per tramite di regole formali. Bisogna che il principio di reciprocità, che l’espressione della fraternità, entri tendenzialmente in tutti i luoghi, comprese le imprese pubbliche e quelle private. Per questo c’è bisogno del lievito, cioè di imprese leader che guidino le altre; e sono, per esempio, i soggetti dell’economia di comunione, le cooperative sociali, ecc.. Prof. Bruni, questo modo di vedere è completamente nuovo, o può contare su una tradizione? Il nostro punto di vista ci ha portato anche ad una rilettura della storia. Quando si considera la nascita dell’economia moderna, normalmente si fa riferimento al mondo anglosassone legato alla Riforma: pensiamo all’interpretazione data da Max Weber al rapporto fra etica protestante e spirito del capitalismo; o a quella di Sombart, che vedeva nelle esperienze economiche delle città italiane del periodo umanistico delle semplici anticipazioni dei veri cambiamenti avvenuti solo dopo. Nella nostra prospettiva, invece, l’economia moderna è la fioritura di un albero secolare che inizia in pieno Medioevo, dall’interno dell’umanesimo cristiano. Non è una prospettiva molto diffusa: vi aspettate delle critiche? Abbiamo cercato di affermare questa idea non in maniera ideologica, ma attraverso una seria lettura storica delle idee e dei fatti. Per questo abbiamo cercato di coinvolgere storici non solo dell’economia, ma anche del pensiero, con i quali abbiamo dialogato per anni: penso a Todeschini, a Vera Zamagni, a Zanghì ed altri. Le letture classiche dell’umanesimo civile, quali quella di Eugenio Garin, mettono sempre una forte separazione fra l’umanesimo civile e ciò che c’era prima; quasi che, prima, ci fosse l’umanesimo incivile. Invece, secondo noi, anche facendo riferimento a grandi storici della scuola di Cambridge, come Skinner, l’umanesimo civile nasce nei comuni del Millecento e Milleduecento, in pieno umanesimo medievale. Noi non guardiamo affatto indietro, come i nostalgici di un Medioevo cristiano che non c’è più: è, invece, il tentativo di far comprendere che la storia è più complicata di come sia stata finora raccontata. In sostanza il mercato, l’economia, hanno fortemente a che fare con l’umanesimo cristiano. Non solo con esso, naturalmente. Ma affermare questo aspetto significa sottolineare una positività dell’economia moderna, che non può essere ridotta al solo sfruttamento dell’uomo, come sostiene la lettura marxista; ma non è neppure solo armonia, come sostengono i suoi apologeti più acritici. Noi diciamo che nella vita civile, l’economia può diventare un luogo umano; in sostanza, nella prospettiva dell’economia civile, l’economia non è, in sé, sempre buona o sempre cattiva ma, all’interno della città, all’interno della vita politica e dunque: con le giuste leggi, le giuste istituzioni, le virtù civili anche il mercato può diventare un luogo umanizzante.