Verso la Città Santa
Anche in un contesto religioso e politico esigente e selettivo come Gerusalemme, l’attesa per l’arrivo del pellegrino di Roma è sentita e diffusa. Il cosiddetto “effetto Francesco” si riproduce quasi inspiegabilmente negli scenari più variegati. Almeno sinora. Un fatto certificato dall’autorevole rivista statunitense «Time», che lo ha eletto a fine 2013 «Personalità dell’anno», motivando la scelta con la disarmante costatazione che «raramente un nuovo protagonista della scena mondiale ha catturato tanta attenzione, da vecchi e giovani, fedeli e cinici, in così poco tempo». Dal momento in cui, poco dopo le 20, nella piovosa serata del 13 marzo 2013, è arrivato con passo lento alla Loggia delle benedizioni subito dopo l’elezione, la campagna di simpatia nei confronti del papa (tutt’altro che intenzionale nel protagonista) ha mietuto successi. Sorprendentemente, ha trovato inatteso alleato – tanto fedele, quanto involontario – il mondo più scettico e disincantato, quello dei mass media, interessato a dare frequentemente conto di gesti e parole di un romano pontefice anche in società ormai dominate da una cultura secolarizzata.
Il giorno dopo l’elezione al soglio di Pietro, gli organi di informazione riportano la notizia del messaggio di congratulazioni del presidente palestinese, Mahmoud Abbas, in visita a Mosca. Le felicitazioni sono unite alla speranza che il papa si impegni per la pace nella Terra Santa e, a tal fine, lo invita ufficialmente a visitare Betlemme, il luogo di nascita di Gesù.
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Le vicende internazionali interpellano Bergoglio, tanto da portarlo a costatare quanto poco la comunità politica internazionale stia facendo per evitare l’implosione della Siria. In estate, matura la convinzione di tentare di fermare le stragi. All’Angelus del 1° settembre, Francesco lascia gli ormeggi. «Il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano». Le rappresaglie non hanno limiti di territori e di strumenti. La popolazione civile viene falcidiata. «Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! Vi dico che ho fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi». Ammonisce i responsabili, ricordando che «c’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire!». Commenta: «Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza!». Ed ecco la proposta. «Ho deciso di indire per tutta la Chiesa, il 7 settembre prossimo, vigilia della ricorrenza della Natività di Maria, Regina della Pace, una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero». L’intento è un’azione di respiro universale. «Invito ad unirsi a questa iniziativa, nel modo che riterranno più opportuno, i fratelli cristiani non cattolici, gli appartenenti alle altre religioni e gli uomini di buona volontà». Una veglia in piazza S. Pietro si terrà dalle 19 alle 24, con grande partecipazione di popolo e rilevanza sui mezzi d’informazione. «“Dov’è Abele, tuo fratello?”. E Caino risponde: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?”». Da questa domanda che Dio pone alla coscienza dell’uomo, il papa prenderà spunto, nella riflessione durante la veglia, per offrire due indicazioni per la pace. «Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri»; «è possibile percorrere le vie della pace». «Questa sera vorrei che da ogni parte della Terra noi gridassimo, dal più piccolo al più grande fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni: Sì, lo vogliamo!», perché «in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino». La veglia a Roma e le tante nel mondo riusciranno a influenzare l’opinione pubblica internazionale. L’annunciato intervento militare degli Stati Uniti in Siria – le cui conseguenze sarebbero state devastanti – non ci sarà. Obama è costretto a fare marcia indietro. Per Bergoglio, un formidabile successo politico.
L’approccio che Francesco ha maturato nei confronti della questione della Terra Santa e del Medio Oriente è rivelatore di cosa muove nel profondo Jorge Mario Bergoglio sin dal suo arrivo sulla cattedra di Pietro. È portato, prima di tutto, a esaminare e ad affrontare ogni cosa con un atteggiamento di costante movimento. «Dio ha detto ad Abramo: Cammina alla mia presenza e sii irreprensibile» e «Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va», spiega ai cardinali nella sua prima messa da pontefice, ancora nella stupenda cornice della Cappella Sistina. Augura così ai presenti di avere «il coraggio di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore». Ecco la sua visione di Chiesa e di papato: mettersi in cammino con gli altri uomini, condividere le loro esistenze, in modo che la Chiesa non si limiti a custodire la verità, ma la scopra sempre rinnovata procedendo passo dopo passo con Gesù a fianco delle persone.
Cammino e speranza, due fattori tra loro intrecciati in Francesco.
Da Paolo Lòriga, Francesco e Gerusalemme, sfida religiosa e politica (Città Nuova, 2014)