Verso il referendum

Nonostante tutto, la voce più costante in attesa del referendum indetto dal governo della regione di Barcellona è quella del dialogo

Che cosa è andato a cercare Mariano Rajoy alla Casa Bianca di Donald Trump cinque giorni prima del temuto referendum in Catalogna? Per numerosi analisti la visita, concertata agli inizi di agosto, che ha concesso al premier spagnolo un trattamento protocollare da socio privilegato, non ha avuto altro scopo che far dire all’occupante dello Studio Ovale frasi taglienti, anche se diplomatiche: «Credo che il popolo di Catalogna resterà in Spagna, credo che sarebbe una sciocchezza non farlo»… «La Spagna è un grande, grande Paese e deve restare unito». Queste e alte sentenze sono state pronunciate «da presidente degli Stati Uniti», come ha voluto sottolineare lo stesso Trump.

Trump and Rajoy of Spain Press Conference

La battaglia diplomatica fuori dalle frontiere tra il governo centrale e quello autonomo a proposito del «processo indipendentista» non è nuovo, visto che gli uni e gli altri hanno cercato di portare dalla loro parte Paesi e organismi internazionali. Da questo punto di vista la Generalitat catalana è riuscita a trovare l’appoggio ufficiale di pochi Paesi (Lettonia e Lituania) e a titolo personale di diversi eurodeputati e parlamentari di vari Paesi (Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda), così come diversi membri del Congresso statunitense e di alcuni partiti nazionalisti europei. Da non dimenticare anche la simpatia mostrata da diverse figure del mondo della musica, della letteratura, dello sport e del cinema, oltre ad alcuni mezzi di comunicazione di rilievo (The Times, Financial Times).

Le dichiarazioni di Trump si aggiungono ora ai punti a favore già ottenuti da Rajoy. L’Ue mantiene una posizione prudente considerando che si tratta di una «questione interna» della Spagna, anche se c’è chi già prevede la possibilità di avviare accordi di adesione per la Catalogna, quando fosse eventualmente indipendente. Diversi leader europei hanno assicurato la loro preferenza per una Spagna unita. Angela Merkel ha auspicato che non «si tocchi il principio di unità territoriale», mentre David Cameron ha invocato «la guida della legge» quando si parla di secessione, ed Emmanuel Macron ha posto l’accento sui sentimenti: «Mio socio e amico è la Spagna intera». Per ultimo, l’Onu, ma ancora due anni fa, attraverso il suo segretario Ban Ki-Moon, aveva manifestato il desiderio che la Catalogna non era tra i territori con diritto di autodeterminazione.

Spain Catalonia

Non aspettiamo il primo ottobre, ma il 2! Così la pensano tanti cittadini, che non riescono a capire come mai si sia arrivati a una situazione di blocco politico, istituzionale ed anche sociale. Ecco perché il richiamo al dialogo si fa più forte quanto più si avvicina la data. Già il 22 settembre una cinquantina de eurodeputati aveva segnalato che il modo in cui stava procedendo il governo centrale per impedire il referendum era «una strategia erronea per risolvere un tema politico». Un giorno prima il centro studi Cristianisme i Justícia, con sede a Barcellona, richiamava tutti alla «necessità di dialogo quando sorgono differenze e di rispetto democratico della volontà delle minoranze». Mercoledì scorso è stato il turno della Conferenza episcopale spagnola, che in realtà ha ripreso un comunicato dei vescovi catalani del 20 settembre, chiedendo di: «avanzare nel cammino del dialogo e della comprensione, del rispetto dei diritti e delle istituzioni» perché la società sia «uno spazio di fraternità, di libertà e di pace».

Tanti altri organismi e associazioni mirano in questi giorni al dialogo come unica possibilità di promuovere una via di intesa. Così il Coordinamento delle organizzazioni di cooperazione per lo sviluppo chiede di «recuperare il dialogo come base per la risoluzione dei conflitti in democrazia». La Comunità di Sant’Egidio di Barcellona insiste sul fatto che «un dialogo vero e ragionevole che includa tutte le parti aiuterà a trovare un’uscita alla crisi. Il dialogo non indebolisce l’identità di nessuno». Anche il Movimento dei Focolari ha lanciato una raccolta di firme per assecondare tutti questi appelli al dialogo, perché «si trovi nel dialogo un potente strumento che renda possibile interessarsi dell’altro, entrare nella realtà vissuta, conoscerla, accoglierla e, nella misura del possibile, capirla».

 

 

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