Verso euro 2020, un bilancio azzurrissimo
Grazie al successo al Tampere Stadion per 2-1 sui padroni di casa della Finlandia, seconda nel gruppo J ed ora già a 6 punti di ritardo, l’Italia di mister Mancini centra il suo sesto successo consecutivo nel percorso di qualificazione. Decisivo un rigore pressoché inesistente concesso nel finale per un presunto fallo di mano e realizzato da Jorginho, ma solo atto a suggellare di fatto una prestazione dominante della nostra nazionale su quella di mister Kanerva, che non ha mancato comunque di rimarcare a fine gara il grave errore arbitrale. Azzurri imballati e in fase di studio per soli venti minuti iniziali, dopo i quali hanno iniziato a martellare la retroguardia avversaria arrivando al tiro complessivamente ben 25 volte nell’arco della gara. Dopo la rete di testa agli inizi della ripresa su cross perfetto di Chiesa, di Ciro Immobile, sbloccatosi dopo due anni di digiuno in azzurro e preferito in partenza a Belotti, il pari era arrivato sempre su rigore di Pukki, per un’ ingenuità di Sensi (autore comunque di una gara eccellente sul piano di quantità e qualità) che aveva perso pallone e sangue freddo atterrando in area l’avversario: l’unico black out in una prestazione più che convincente per gioco e personalità non inficiava poi di fatto l’incameramento di altri tre punti decisivi per la nostra nazionale, chiamata il prossimo 12 ottobre a battere la Grecia per assicurarsi matematicamente l’accesso ai prossimi europei di giugno 2020.
Le chiavi tattiche
Pur avendo cambiato mezza squadra rispetto alla vittoria contro l’Armenia di tre giorni prima, Mancini dimostra di avere trasmesso in questo anno una precisa e affascinante filosofia di gioco ai nostri ragazzi: il baricentro alto del suo 4-3-3, finalizzato a gestire il pallone soprattutto nella trequarti avversaria, sembra davvero ormai nelle corde di tutti gli effettivi convocati. La Finlandia ad esempio si era chiusa con il 5-4-1; l’Italia rispondeva schierando in difesa Acerbi al centro e a destra Izzo, mentre a centrocampo Sensi sostituiva lo squalificato Verratti. Il tridente proponeva, oltre al confermatissimo Chiesa, Pellegrini a sinistra e Immobile al centro, ma nulla cambiava sul piano della qualità del gioco: trame di passaggi e fraseggi continui assicurano un gioco gradevole e una padronanza della manovra che difficilmente concede agli avversari grandi opportunità di reazione offensiva.
Il coraggio di cambiare
Quella di Roberto Mancini appare un’evoluzione tattica del tutto innovativa per la storia calcistica italiana. Per decenni, il nostro Paese ha imposto nel mondo una filosofia di gioco incentrata sull’attenzione tattica, le marcature difensive pressoché ossessive e anche dure, completate dal cinismo e dalla fantasia di tanti trequartisti e noti numeri 10 che con i loro spunti hanno spesso e volentieri sbloccato con lampi di genio interi campionati europei e mondiali. Ovviamente, decisione e precisione nella marcatura, così come studio della tattica e colpo d’imprevedibilità del genio di turno non potranno mai venire meno e potranno sempre fare la differenza, ma la nuova Italia di Mancini punta invece su una gestione continua del pallone che ricorda più la scuola iberica, sia sul pano della mentalità che dello schema di gioco stesso. Il 4-3-3 a tutto possesso palla azzurro, proprio come quello che ha fatto le fortune di Barcellona e nazionale spagnola per quasi un decennio, fino a qualche anno fa, dimostra il coraggio di cambiare evolvendosi dopo gli sfracelli sportivi degli ultimi anni del calcio nostrano sul piano dei risultati, della formazione dei giovani e del gioco, escludendo il modello Juventus. Ecco allora che non abbiamo più i nostri epici “liberi” numero 6 alla Franco Baresi o gli arcigni stopper numero 5 alla Pietro Vierchowod, ma abbiamo registi difensivi in grado di impostare già la manovra come registi arretrati; non abbiamo forse più i mediani numero 4 tutti botte e legna alla Rino Gattuso, né numeri 10 classici alla Roberto Baggio, Francesco Totti o Alex Del Piero, ma in compenso abbiamo, una serie di magnifici 8+ di ruolo: mezzali come Barella, Sensi, Pellegrini e non solo, o registi bassi come Verratti e Jorginho, assicurano una gestione efficace e autorevole del pallone, fino a trovare la via dell’insidioso tiro a rete, come i tanti trequartisti esterni intercambiabili come Insigne, Bernardeschi, Chiesa, El Shaarawy e non solo. Gioventù e coraggio, per tornare protagonisti: perché la propria identità, nel calcio come nella vita, a volte, va riletta e riconquistata adattandosi ai segni di tempi che evolvono e richiedono la forza di aprirsi al cambiamento.