A Verona l’Expo delle armi cosiddette leggere
Se produci armi, devi trovare il modo di venderle. Lo ha mostrato in maniera eclatante l’ultima edizione del World Defence Show, la mega fiera di armamenti pesanti che si è svolta in Arabia Saudita nel marzo 2022 con la partecipazione attiva delle maggiori società che si contendono il mercato, tra le quali l’italiana Leonardo, controllata dal ministero dell’Economia, che nei suoi 4 stand ha potuto vantare, con l’intervento dell’amministratore delegato, Alessandro Profumo «un ampio portafoglio di piattaforme e soluzioni tecnologiche multi-dominio». La fine dell’emergenza pandemica ha riaperto le porte ai grandi eventi. Anche le armi cosiddette leggere hanno la loro fiera campionaria che si svolgerà a Verona nei padiglioni di Veronafiere dall’11 al 13 febbraio. In effetti la manifestazione European Outdor Show non si occupa solo del settore “caccia, tiro sportivo e difesa personale” ma anche di “pesca, nautica e cinofilia” con l’esposizione di oltre 2 mila cani. Una manifestazione che prevede l’ingresso gratuito per i minori accompagnati.
Nelle immagini pubblicitarie si alternano stivaloni da gomma per la pesca, cani di ogni razza assieme ad armi che non sono affatto “leggere”. Nel campionario troviamo «pistole, fucili semiautomatici, carabine e fucili a pompa». Una produzione che viene, di solito, presentata come un’eccellenza delle imprese italiane con importanti ricadute in termini economici e di occupazione. La motivazione, cioè, che permette di superare molti scrupoli morali senza contare i fautori a livello politico dell’adozione del modello statunitense di difesa personale armata.
È entrato nel merito di tale tesi lo studioso Giorgio Beretta con una recente pubblicazione “Il Paese delle armi” che intende mettere in evidenza“ falsi miti, zone grigie e lobby dell’Italia armata” (Altreconomia 2022) con il rigore che contraddistingue l’analista dell’Opal di Brescia. È in questa area opulenta e laboriosa della Lombardia che è infatti concentrata la produzione di armi destinate in gran parte al mercato estero. E l’ “Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa” costituisce l’esempio di un lavoro costante e autorevole promosso dalla società civile.
Nel suo libro Beretta mette in fila i numeri per dimostrare che il settore delle armi “leggere” è pari a 600 milioni di euro, equivalente a quello della produzione di giocattoli ma di gran lunga inferiore, ad esempio, al settore calzaturiero (13 miliardi di euro). Anche a livello di posti di lavoro parliamo di dati modesti con 3.300 addetti che corrispondono allo 0,1% degli occupati nel settore manifatturiero.
La maggior parte dell’export italiano è diretto negli Usa, dove è molto forte la pressione della National rifle association (Nra) attiva dal lontano 1871 nell’impedire, anche davanti alle periodiche stragi da uso delle armi da fuoco che si consumano in quel Paese, ogni tipo di limitazione al possesso di armi da parte dei privati secondo una rigida interpretazione del secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America.
Ma l’elenco dei destinatari di tale tipo di esportazione è molto più ampio e comprende nazioni che non rientrano nel perimetro degli stati liberal democratici come Egitto, Arabia Saudita, Kuwait, Marocco, Oman, Bahrain e Qatar.
Se ovviamente non si possono conoscere i destinatari effettivi e gli utilizzatori di tali armi nei Paesi citati, anche per quanto riguarda il nostro Paese resta un dato non accessibile l’elenco delle armi detenute legalmente in Italia e neanche il ministero degli Interni pubblica annualmente il numero delle persone che possiedono una licenza per il porto d’armi.
Siamo comunque portati a credere che in Italia esistano controlli più severi sul possesso di armi di quelle che vigono negli Usa. Ma così non è. Non è prevista, osserva Beretta, una perizia psichiatrica o una visita medica presso la Asl, ma solo il certificato del medico di base. Esistono casi eclatanti di autori di reati violenti che hanno ricevuto la licenza in pochi giorni senza dover neanche dimostrare di praticare il tiro sportivo.
Il porto d’armi non pone di per sé un limite restrittivo in termini di quantità e qualità delle armi. È dal 2018 che Opal e Giorgio Beretta in particolare denunciano una novità introdotta ormai quell’anno nel nostro ordinamento in fase di recepimento di una direttiva europea in base alla quale «con la licenza per il tiro sportivo si possono detenere tre pistole semiautomatiche con caricatori fino a 20 colpi – prima fino a 15 colpi – poi fino a 12 fucili semiautomatici, come gli AR-15 usati nelle stragi negli Usa – prima massimo 6 – e un numero senza limiti di fucili da caccia».
A chi giova questa liberalizzazione nel possesso di armi?
Resta il fatto che è ragionevole chiedere a chi organizza una fiera che prevede l’esposizione di armi non di agevolare ma di evitare la presenza dei minori. Una istanza che Rete pace e disarmo avanza nei confronti di Veronafiere S.p.A i cui principali azionisti sono alcuni enti pubblici come il comune di Verona (39,5%), la provincia di Verona (1,4%) e Regione Veneto (0,1%), ma anche l’Agenzia veneta per l’innovazione nel settore primario (ente strumentale della Regione del Veneto col 5,4%). A tal fine assieme ad Opal ha proposto un incontro pubblico a Verona l’11 febbraio con l’intervento di politici locali e rappresentanti delle associazioni.
Il riferimento all’esercizio della responsabilità sociale d’impresa è dettato, in sostanza, dall’esigenza di porre un freno ad una manifestazione percepita come un’operazione ideologica a favore della diffusione delle armi. A tal fine occorre un preciso regolamento che escluda l’esposizione di armi non strettamente connesse all’attività di caccia a di pratica sportiva. Sarebbero da bandire cioè «le armi da difesa personale, per corpi di polizia e di sicurezza pubblica e privata, ecc.» e «ogni tipo di iniziative di carattere politico, proibendo l’esposizione di materiali pubblicitari per formazioni di tipo paramilitare».
Qui il link all’iniziativa pubblica di Verona
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