Verona città a favore della vita
È diventata un caso nazionale la mozione approvata nella notte tra il 4 e il 5 ottobre dal Consiglio comunale di Verona, che dichiara il capoluogo scaligero «città a favore della vita» e prevede finanziamenti ad associazioni cattoliche per iniziative contro l’aborto. A promuoverla è stato il consigliere leghista di maggioranza Alberto Zelger, noto per la sua vicinanza a diversi movimenti antiabortisti – nonché a quelle stesse associazioni e fondazioni che la mozione intende finanziare. Stralciata invece la parte del testo che prevedeva l’obbligo di sepoltura per tutti i feti abortiti. A suscitare clamore non sono stati soltanto la plateale presa di posizione del consiglio comunale (21 voti a favore e 6 contrari) e il – vero o presunto – conflitto di interessi di Zelger nel concedere denaro pubblico a queste associazioni; ma anche il voto a favore della capogruppo Pd, Carla Padovani, invitata dai vertici e da larga parte del suo partito alle dimissioni.
La valenza di questo voto non sta tanto nella questione in sé dell’aborto, ma in quanto va a toccare questioni politiche e sociali più ampie. Il testo della mozione assume infatti toni lapidari nei confronti della legge sull’aborto. C’è scritto, infatti, che «la 194 si proponeva di legalizzare l’aborto in alcuni casi particolari […] e di contrastare l’aborto clandestino, mentre ha contribuito ad aumentare il ricorso all’aborto quale strumento contraccettivo e non ha affatto debellato l’aborto clandestino».
Nella mozione si afferma, inoltre, che la legge è stata largamente disattesa per quanto riguarda le iniziative volte a far sì che la donna non ricorra all’aborto – affermando che «è noto che talvolta basta un piccolo aiuto economico o la possibilità di un lavoro». Porta poi dati sul numero di aborti dal 1978 ad oggi, affermando che «manca all’appello una popolazione di 6 milioni di bambini, che avrebbero impedito il sorgere dell’attuale crisi demografica».
Dati e affermazioni contestati dai movimenti femministi – su tutti il fatto di equiparare l’aborto chirurgico o farmacologico alla pillola del giorno dopo –; in particolare dall’organizzazione “Non una di meno”, presente in aula con alcune donne che hanno messo in atto una protesta vestendosi da “ancelle” della serie televisiva Handmaid’s tale (che immagina una società distopica in cui le donne sono ridotte al ruolo di procreatrici). In un suo comunicato diramato poche ore dopo via Facebook, il movimento parla infatti di «finanziamenti ad associazioni cattoliche a scopo di lucro».
Ma chi sono queste associazioni e progetti che la mozione intende finanziare? Il testo cita i progetti “Gemma” e “Chiara”. Il primo prevede aiuti economici alle future mamme in difficoltà e fa capo alla Fondazione Vita Nova, opera del Movimento per la Vita. La Fondazione si definisce «apolitica e senza fini di lucro» – dichiarando di realizzare i propri scopi di iniziative di sostegno alla vita «sia con contributi in denaro prelevati dalle rendite del patrimonio della Fondazione, sia attraverso la concessione dell’uso di beni mobili o immobili di sua proprietà». Il secondo progetto, Chiara, è invece realizzato dal Centro di aiuto alla vita di Verona, una onlus (organizzazione senza scopo di lucro, ndr), e prevede quella che viene definita “adozione di vicinanza” di mamme sole con bambini.
Da ultimo la mozione cita il progetto regionale “Culla segreta”, volto a far conoscere la possibilità di partorire in anonimato e dare il bimbo in adozione per contrastare l’aborto o l’abbandono, tramite campagne informative nelle Ulss. Anche se si tratta di associazioni private e dichiaratamente confessionali, pare però infondato il rilievo secondo cui tali organizzazioni sarebbero a scopo di lucro.
La mozione veronese, quindi, ha avuto eco nazionale primariamente per la posizione apertamente assunta dal consiglio comunale (giudicati in contrasto con la laicità dello Stato) e per i toni particolarmente accesi (e a onor del vero spesso infelici e ai limiti del travisamento della realtà) utilizzati da entrambe le parti in causa; ma non ha di fatto spostato i termini del dibattito ancor vivo sulla 194 a quarant’anni dalla sua approvazione – in particolar modo per quanto concerne la presenza delle associazioni pro-vita nei consultori, il loro finanziamento, e le modalità più opportune per sostenere le donne che si trovano a compiere questa difficile scelta. Una dimostrazione, se ancor ce ne fosse stato bisogno, che si tratta di un tema purtroppo profondamente divisivo e sul quale urge un confronto e non uno scontro.