Veri e presunti scafisti
Il livello di criminalità assunto dagli scafisti ha raggiunto traguardi altissimi. Già lo sappiamo che sono persone prive di scrupoli, affiliate forse ai terroristi sempre in cerca di soldi per acquistare armi ed esplosivi, pronte a sacrificare ogni vita umana, compresa quella della bambina diabetica di cui abbiamo pianto la morte in mare nei giorni scorsi.
Nelle prime battute di un processo nei confronti di un ragazzino proveniente da un Paese sub sahariano, accusato di essere uno scafista, ho assistito ad una descrizione desolante.
I trafficanti, quelli “veri”, alla partenza del gommone ‒ gonfiato sulla riva alla meno peggio proprio dalle persone che aspettano di essere traghettate – scelgono tre o quattro uomini, gli mettono in mano una bussola ed un telefono satellitare. Poi li fanno partire. Poco importa se chi si mette alla guida del timone abbia esperienza di mare oppure no. Devono partire, dopo avere abbondantemente pagato.
Il ragazzino sotto processo, sguardo spento sempre rivolto al pavimento, nel suo Paese ogni tanto era stato in mare con i sui fratelli maggiori. Durante la traghettata, al momento della disperazione – la rotta persa e la paura dilagante tra gli imbarcati – si offre volontario per tentare di proseguire il viaggio. Riesce a usare il telefono satellitare e i soccorritori salvano tutti. Lui, che ha condotto il gommone per le ultime ore di navigazione, viene indicato dagli altri come scafista.
Colpevole o innocente? Personalmente lo definirei vittima. Vedremo l’esito del processo. In ogni caso occorre riprendere sui tavoli internazionali aspetti sinora trascurati, primo tra tutti l’apertura di corridoi umanitari legali e “leggeri”, che consentano il transito dei profughi e dei migranti in sicurezza verso terre non certamente prive di ingiustizie e di illegalità (Europa, Italia compresa) ma forse più attente ad evitare assoluta libertà di azione a criminali e terroristi (scafisti compresi, quelli veri) di cui apprezziamo l’arresto e la condanna.