Vera Araujo: le relazioni sociali agapiche

Dal percorso personale alle attuali prospettive della sociologia
Vera Araujo

Prof.ssa Araujo, come è arrivata a diventare un’esperta di Dottrina Sociale Cristiana? Da quali studi è partita e quali suoi particolari interessi l’hanno orientata?

 

Potrei dire qual è stata la partenza e quale l’arrivo: la partenza è Marx, l’arrivo Gesù.

Io ho creduto sempre, proprio perché immersa in un contesto di grandi e importanti problemi sociali nella mia regione del Brasile, di dovermi impegnare per un cambiamento della società e allora, quando ero molto giovane, gli orientamenti che mi sembravano i più efficaci, proprio per una evoluzione, un cambiamento radicale, erano quelli della dottrina marxista; con questa prospettiva mi sono impegnata sia concretamente, sia nello studio. Studiavo, infatti, legge perché credevo nella possibilità di un cambiamento sociale attraverso delle leggi giuste, delle leggi che fossero non a favore dei potenti della terra, ma a favore dell’uguaglianza e della giustizia.

Ma questa fase della mia vita mi ha portato anche ad un momento di crisi intellettuale: ad un certo punto non vedevo più delle possibilità concrete, per questa strada, di produrre risultati efficaci.

È in questo periodo di crisi che l’incontro con una grande spiritualità – la spiritualità dell’unità di Chiara Lubich – mi ha portato a guardare il messaggio evangelico come una possibilità che non mi era mai balenata prima.

Ho conosciuto Igino Giordani, che mi ha fatto conoscere la Dottrina sociale della Chiesa e mi ha inoltrata nello studio dei Padri della Chiesa e poi della Dottrina sociale: lui fu mio maestro.

Da lì è cominciato un percorso intellettuale a tutto campo, per guardare, capire, comprendere la realtà sociale da un’altra prospettiva: direi “dall’alto” (mentre prima la guardavo solo “dal basso”) e dall’alto le cose si vedono molto meglio e si capisce molto meglio quali strade percorrere.

Da quel momento i miei interessi sono diventati sociologici, più che giuridici, ed ho studiato la sociologia per trovare la sinergia tra il “guardare dal basso” – la sociologia – e il “guardare dall’alto”, cioè da Dio, ossia cercando la prospettiva dello sguardo dall’Uno, che vede poi la molteplicità nella sua positività e non solo nella sua conflittualità.

Questo è stato il mio percorso intellettuale.

  

Nei suoi studi emerge l’amore come categoria delle relazioni sociali; si tratta certamente di un approccio innovativo e non immediato, serve lo sguardo “giusto” per comprendere l’agire sociale da questa prospettiva: su che cosa si basa per fare dell’amore un criterio di interpretazione del sociale?

 

Già Platone distingueva tre tipi di amore: l’eros, la filia e l’agàpe, per cui l’amore-agape ha già un posto nella tradizione sociologica. Troviamo autori, tra i classici (come Sorokin, Simmel, Luhmann e tanti altri), che hanno affrontato l’agire agapico, l’agire per amore, come una realtà importante nella vita sociale. Questo tipo di studi, però, non è stato riconosciuto dalla grande tradizione sociologica, o perché non è stato compreso, o perché si è volutamente scartata questa possibilità; oggi, però, l’agape torna di prepotenza proprio a causa della complessità della società globalizzata.

La maggioranza dei sociologi sono d’accordo nell’affermare che i paradigmi consueti, come il conflitto, il compromesso, l’integrazione e tanti altri, non sono più in grado di spiegare la complessità e ogni volta che dei paradigmi non riescono più a comprendere e spiegare una società vuol dire che, in qualche modo, sta nascendo un nuovo paradigma, richiesto dalla società stessa così com’è.

Molti autori contemporanei cominciano a rivolgersi all’agape non solo per analizzare e capire la vita sociale, ma anche per mettere in rilievo che l’agire agapico è costruttivo ed è presente in molte relazioni private e pubbliche; vengono così in evidenza anche i rapporti tra agape e dono, agape e reciprocità, agape e gratuità …

Si tratta adesso di dare dignità scientifica a questo paradigma, cioè far vedere, utilizzando i metodi propri della sociologia, come nelle relazioni agapiche, presenti nella società, c’è una forza capace di modificare la società stessa, di costruirla e farla crescere

E’ in corso attualmente un grande lavoro di ricerca proprio per dimostrare che non sono solo paradigmi come quello del conflitto e far muovere la società, ma ancor più quello agapico, che è capace di costruire la società; è un campo che si sta aprendo oggi molto ricco di prospettive innovative.

  

Anche dai fronti più laici è riconosciuta questa prospettiva dell’agire agapico?

 

Anche dai fronti più laici! Ad esempio Luc Boltanski, che è un agnostico, ha scritto nel 2005 un libro dal titolo Stati di pace. Per una sociologia dell’amore – di cui l’editrice Vita e pensiero ha tradotto in italiano e pubblicato una parte –, libro che ha provocato un enorme dibattito accademico anche per questa sua provenienza da un fronte laico.

  

Lei guida i lavori di un gruppo di sociologi che approfondiscono il tema della relazione sociale: ci vuole illustrare alcuni contributi significativi al riguardo?

  

Gli studi del gruppo di Social One, portati avanti da diversi anni nel dialogo aperto e costruttivo con tanti sociologi, hanno condotto la nostra ricerca a intraprendere l’elaborazione di una sociologia che abbia queste caratteristiche:

        un rapporto di gratitudine verso i classici, ma anche di critica costruttiva nei loro confronti;

        la ricerca del carattere non più nazionale o territoriale della sociologia, ma relazionale, che punti al senso dell’azione sociale e dell’attore sociale nei confronti della società;

        un impegno nuovo nello scoprire l’apporto del genio femminile nel processo di costruzione teorica. Qui vorrei sottolineare come la sociologia è una disciplina, una scienza tipicamente maschile e si sente: uno degli aspetti che vogliamo recuperare è proprio la prospettiva femminile nella costruzione teorica dei paradigmi e delle relazioni;

        l’elaborazione teorica delle identità centrali nel discorso sociologico, ossia la persona e la società: si tratta del nodo fondamentale e a noi sembra che solo con una prospettiva relazionale – e basata su uno specifico tipo di relazione – si possa trovare la sinergia, si possa trovare l’equilibrio, si possa trovare la lettura giusta fra l’apporto dell’individuo alla società e l’importanza della società per l’individuo;

        infine, l’utilizzo di un metodo che possiamo chiamare di “patto epistemologico” fra tutte le discipline umanistiche, che ci permetta, nel riconoscimento dei reciproci limiti e metodi, di essere sempre aperti verso ciò che ci sta davanti, di evitare la possibile chiusura o autoreferenzialità delle discipline – basata su una identità capita male. È solo in questo patto epistemologico, in questa relazionalità fra le discipline, soprattutto fra quelle umanistiche, che si può pensare di comprender meglio la realtà sociale e soprattutto di elaborare delle teorie che siano in grado di diventare strumenti validi per la comprensione della società, ma anche, e soprattutto, per la sua evoluzione.

Questo è un po’ il nostro programma: ambizioso, certamente, ma molto affascinante.

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