Una vera agenda politica per la pace
Ha solo 15 anni, è stata fondata a Roma il 19 marzo del 2004, ma la Rete italiana disarmo ha prodotto in questi tre lustri una grande mole di lavoro, che è un bene comune per chi vuole capire e approfondire le grandi questioni della pace e della guerra con competenza e passione.
Numerose le realtà che compongo questa rete coordinata da Francesco Vignarca che si contraddistingue per un metodo che associa al rigore della analisi l‘apertura al dialogo. Nei fatti rappresenta il riferimento specifico in Italia per le campagne riguardanti le spese militari, il controllo dell’export di armi, il controllo della diffusione degli armamenti, le iniziative di difesa civile nonviolenta, le campagne internazionali di messa al bando di specifiche tipologie di armi.
Si spiega, così, la disponibilità di Rete disarmo a promuovere, assieme a tanti altri attori italiani e internazionali, la giornata seminario del primo marzo dedicata alle “nostre responsabilità” in tema di produzione e commercio di armamenti.
L’iniziativa tenutasi nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera, condivisa anche dall’ufficio pastorale della Cei e dalla federazione delle chiese evangeliche, ha cercato il confronto aperto con le istituzioni che sono concretizzate nell’intervento del presidente della federazioni delle aziende della difesa e sicurezza, Guido Crosetto, e del sottosegretario agli Esteri, il pentastellato Manlio Di Stefano. In questa intervista a Vignarca proviamo a fare il punto della situazione.
Il convegno del primo marzo aveva molte pretese cercando una interlocuzione con l’attuale governo, le banche e le parti sociali. Alla fine si conoscono meglio le posizioni di ciascuno, evitando inutili polemiche, ma cosa resta di questi momenti?
Credo che ribadire le posizioni, anche se sono prevedibili, sia sempre importante quando questo viene fatto in un momento di confronto diretto in cui ci si può capire meglio e soprattutto si può dibattere più approfonditamente sulle questioni al di là degli slogan. Inoltre va detto che durante il Convegno dello scorso 1 marzo soprattutto il Sottosegretario Di Stefano ci ha fornito alcuni dati che non conoscevamo e ha dimostrato quantomeno di essersi fatto carico di comprendere la situazione, pur ovviamente non dandoci esattamente le risposte che avremmo voluto o desiderato. Non succede sempre e dunque questo è già un successo! Inoltre in contesti ben organizzati in cui il confronto è rispettoso, come avvenuto durante il Convegno, si riesce ad andare oltre la polemica data dal posizionamento politico o la difesa corporativa di ciascuno.
Crosetto ha detto che ormai sono state interrotte le autorizzazioni, passate e presenti, all’esportazioni della Rwm per l’Arabia Saudita. Avete approfondito la notizia?
In realtà, poi, in uno scambio successivo e diretto con me, Crosetto ha in qualche modo precisato meglio la sua affermazione (che non era pienamente corretta) andando in pratica solo a confermare quanto lo stesso sottosegretario Di Stefano aveva dichiarato durante il Convegno: nel 2018 non sono state date autorizzazioni alla Rwm Italia per nuovi export di bombe verso l’Arabia Saudita (cioè, per essere chiari, di nuovi contratti di fornitura mentre invece continua la produzione e la spedizione di produzioni relative a vecchi contratti).
Tutto chiaro quindi?
Quello che non risulta chiaro, e invece ai nostri occhi è fondamentale, é se queste “zero autorizzazioni” siano figlie di dinieghi da parte del governo a richieste avanzate dall’azienda o siano semplicemente determinate dal fatto che l’azienda stessa non necessita di nuove autorizzazioni per produrre (avendone già ricevute ed incamerate negli anni precedenti in grande quantità). In questo senso si dimostra come la nostra richiesta di maggiore trasparenza nella rendicontazione a Parlamento e società civile dell’export militare normato dalla Legge 185/90 non sia per nulla “accademica” ma sarebbe invece fondamentale per poter avere un giudizio più pertinente e veritieri rispetto alle crude cifre. Che sono importanti, ma lo sono di meno delle decisioni e degli indirizzi politici che le originano.
Il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano ha, invece, esposto la tesi del M5S sulla necessità di cambiare la legge 185/90 perché le variazioni introdotte nel frattempo l’avrebbero resa inefficace. Concordi con tale esigenza? E come si dovrebbe agire per evitare l’intervento delle lobby del settore?
Io credo che anche ora, nonostante alcune variazioni degli ultimi anni l’abbiano effettivamente depotenziata (anche e soprattutto sull’aspetto della trasparenza più che della sua applicazione), nella Legge 185/90 siano presenti efficaci strumenti a disposizione dell’esecutivo per fermare le vendite di armamenti che non si ritengono opportune o allineate ai principi di legge.
Strumenti che si possono trovare anche oltre il quadro giuridico italiano, per esempio facendo riferimento a tutte le norme internazionali sulla questione cui l’Italia aderisce (Trattato ATT e Posizione Comune UE). Non la vedo quindi una vera e propria esigenza, ma potrebbe anche rivelarsi opportunità di rafforzamento se fossimo sicuri di una buona riuscita.
Ma è possibile davvero una modifica in meglio della normativa in essere?
Purtroppo con l’attuale situazione politica vedo difficile uno scenario del genere e quindi il rischio che vediamo come organizzazioni che si occupano da tanto tempo di commercio di armi è quello di un primo passo con buone intenzioni che finisca poi per diventare solo l’apertura ad un ulteriore indebolimento delle norme. Certamente l’idea di una supervisione politica con decisione indirizzata da Governo (o dal Parlamento?) sui casi problematici è interessante, ma non bisogna nemmeno dipingere le cose in maniera errata e suggerire che ciò non sia oggi possibile.
In che senso? In che modo il testo è, invece, applicabile?
Anche adesso l’indirizzo politico superiore può essere dato in maniera esplicita ai funzionari dell’Uama, che prendono certamente decisioni amministrative in base a regole che non possono forzare ma che hanno anche un certo spazio di manovra per considerazioni di opportunità che derivano o quantomeno potrebbero derivare anche da indirizzi politici. Non dimentichiamoci infatti che uno dei pilastri fondamentali della 185/90 è quello secondo il quale il commercio verso l’estero di sistemi d’arma debba essere allineato alla politica estera dello Stato. Cioè da qualcosa di non immutabile o banalmente “burocratico” ed automatico… Da qui possono già discendere tutta una serie di indicazioni che i funzionari devono poi andare applicare e che non sono nemmeno appellabili dall’industria.
Le organizzazioni attualmente aderenti alla Rete Italiana per il Disarmo sono: ACLI – Archivio Disarmo – ARCI – ARCI Servizio Civile – Associazione Obiettori Nonviolenti – Associazione Papa Giovanni XXIII – Associazione per la Pace – Beati i costruttori di Pace – Centro Studi Difesa Civile – Conferenza degli Istituti Missionari in Italia – Coordinamento Comasco per la Pace – FIM-Cisl – FIOM-Cgil – Fondazione Finanza Etica – Gruppo Abele – Libera – Movimento Internazionale della Riconciliazione – Movimento Nonviolento – Noi Siamo Chiesa – OPAL Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa – Pax Christi Italia – Un ponte per…