I voti contrari all’arresto sia di Papa che di Tedesco sono stati più di quelli annunciati. Eppure, secondo molti, queste vicende segnano un punto di svolta
Al di là degli aspetti giudiziari, il peso del voto sulle autorizzazioni all’arresto del deputato Pdl Papa e del senatore Pd Tedesco è tutto politico. Se il fatto che appartenessero a due schieramenti politici opposti aveva fatto presagire una sorta di par condicio, alla fine così non è stato, facendo gridare ad un “due pesi e due misure” protetto dal voto segreto di Palazzo Madama. Lì, a differenza che a Montecitorio, la pulsantiera non è visibile: non è quindi stato possibile controllare la “fedeltà” dei senatori alle linee di partito. Proprio per questo il Pdl ha osservato che il voto alla Camera non sarebbe stato regolare, appunto perché di fatto non segreto.
In realtà, se ben vediamo, in entrambi i rami del Parlamento i no all’arresto sono stati più di quelli annunciati: 293 contro 256 alla Camera e 151 contro 132 al Senato. Dove, però, l’astensione conta come voto contrario: ma, anche contando gli 11 che hanno scelto di non esprimersi, siamo comunque a quota 140. Un Parlamento, quindi, più “garantista” del previsto, almeno in quanto a numeri, anche se questo non è bastato ad evitare il carcere a Papa.
Eppure, sulle pagine dei giornali, sia esponenti politici che editorialisti si interrogano su un cambiamento di rotta che appare epocale: era infatti dal 1984, quando vennero concessi gli arresti per il missino Abbatangelo, che il Parlamento non si esprimeva in questo senso. La Repubblica parla di un “fattore monetine” – facendo riferimento al noto episodio di protesta contro Craxi – che avrebbe indotto i parlamentari, Lega in primis, ad assecondare il sentimento “anti-casta” che sempre più si respira nel Paese. Una “questione morale” che investe trasversalmente tutte le forze politiche, come dimostra il fatto che le inchieste in corso coinvolgano esponenti di diversi partiti. E se da più parti si levano voci che parlano di una maggioranza e di un governo ormai prossimi al capolinea, l’editorialista de La Stampa Marcello Sorgi frena gli entusiasmi: nemmeno il Pd può dire di essere uscito vincitore da queste votazioni, perché aveva chiesto ai suoi di mantenere la coerenza e votare a favore anche dell’arresto di Tedesco – come richiesto, del resto, anche dal diretto interessato.
Al di là delle speculazioni su chi abbia cambiato fronte al Senato – il Pd o la Lega? – il fatto che il senatore pugliese coinvolto nell’inchiesta sulla sanità regionale sia stato salvato presta comunque il fianco ad accuse di doppiogiochismo. Il che fa concludere a Pierluigi Battista, dalle colonne del Corriere della Sera che sono state le istituzioni parlamentari stesse ad uscire «macchiate» da questo voto, in cui «non ha contato nulla il merito giudiziario e processuale sulla base del quale Camera e Senato avrebbero dovuto decidere», ma solo «l’applicazione di una ferrea logica politica, che ha fatto di Tedesco e Papa due birilli da buttare giù o da risparmiare solo per convenienza». Non avrebbe dunque contato il fatto che i reati di favoreggiamento, concussione e rivelazione di segreto d’ufficio, contestati a Papa, fossero più o meno gravi di quelli contestati a Tedesco.