Ventinove volte Juve

La Vecchia Signora conquista il secondo titolo consecutivo e dalla prossima stagione potrà tentare l’assalto alla terza stella
Torino festeggia la Juve campione d'Italia 2013

Undici anni dopo il sapore è diverso, ma il colore rimane lo stesso: il bianconero. Allora era la Juve del secondo ciclo di Marcello Lippi, oggi è la Juve di Antonio Conte. Allora il titolo era arrivato in seguito a una rimonta in classifica completata proprio all’ultima giornata, complice l’inatteso tracollo dell’Inter in un “Olimpico” dall’atmosfera surreale, stavolta il pathos è stato senza dubbio minore e lo scudetto (il secondo consecutivo) è stato conquistato con tre turni d’anticipo, grazie a un’ininterrotta marcia in vetta, iniziata alla prima gara di campionato e virtualmente chiusa ieri, con la vittoria sul Palermo firmata dal dischetto da Vidal. Fatte le dovute differenze, il giorno dell’apoteosi rimane comunque quel 5 maggio che, nel variegato panorama del calcio italiano – tra fedi pallonare e canzonature di ogni genere -, ha assunto ormai il valore di data simbolo della "juventinità".

Per gli amanti dei numeri, si tratta del ventinovesimo scudetto della storia bianconera, nonostante anche ieri la maggioranza dei tifosi e la società (per inciso, sul sito ufficiale campeggia la scritta “31”) abbiano continuato a rivendicare i due titoli revocati in conseguenza dello scandalo Calciopoli. Il cammino verso la vittoria finale è stato meno complicato rispetto a quello dello scorso anno, il primo sotto la gestione Conte, quando la certezza del tricolore arrivò alla penultima giornata dopo un emozionante testa a testa con il Milan e una serie infinita di polemiche per il gol annullato a Muntari nello scontro diretto, ma di certo non si è trattato di un percorso privo d’insidie.

La Juve, a differenza della stagione precedente, partiva quest’anno con i favori del pronostico, vista l’oculata campagna estiva (con il ritorno alla base di Giovinco, gli acquisti in comproprietà di Asamoah e Isla e l’arrivo poco reclamizzato di Pogba, che col passare delle settimane si è rivelato il vero colpo di mercato della società) e il contemporaneo indebolimento del Milan, costretto a cedere Ibrahimovic e Thiago Silva per ripianare il bilancio e a privarsi di gran parte dei suoi senatori per motivi anagrafici. I pronostici sono stati rispettati, con il Napoli che si è rivelato l’unico avversario credibile dei bianconeri, i quali hanno ottenuto più vittorie (sono già 26) del 2011-2012, ma al contempo hanno perso per quattro volte, non riuscendo peraltro a mantenere l’imbattibilità dello “Stadium”, espugnato prima dall’Inter e poi dalla Sampdoria.

Qualche passo falso, in breve, c’è stato, ma alla fine Buffon e compagni sono riusciti ugualmente a prevalere grazie alla maggiore costanza di rendimento e alla forza di un gruppo sempre più convinto dei propri mezzi, in cui i giocatori si aiutano l’un l’altro. Proprio il gruppo è probabilmente la migliore chiave di lettura per comprendere perché la Juventus ha bissato il successo della passata stagione: non a caso la difesa dei piemontesi è la meno battuta del campionato e soprattutto, pur col secondo attacco della Serie A, il capocannoniere della squadra (Vidal, un centrocampista), con i suoi 10 gol all’attivo, non rientra nemmeno tra i primi 15 marcatori del torneo. Un evento rarissimo, quest’ultimo, per una formazione che vince il titolo e che si era già verificato l’anno scorso (quando il cannoniere era stato Matri, sempre con 10 reti), a dimostrazione di come il tanto ambito top player, termine che negli ultimi mesi è stato ripetuto con la frequenza di un tormentone estivo, non sia così imprescindibile.

Certo, per vincere anche in Europa qualche ritocco sarà necessario – e in questo senso vanno interpretate le parole di Conte, che in merito alla sua permanenza a Torino ha invitato la dirigenza a «confrontarsi e capire, perché dopo due anni straordinari l’asticella si sta alzando sempre di più» -, ma a volte un’attenta politica societaria, fondata sul vivaio (Marchisio e Giovinco provengono da lì) e su acquisti al tempo giusto (in stile Pogba, per intenderci), può tornare utile più del nome di grido, che è costoso per definizione. Tra l’altro, è la politica di un club oggi esaltato come il Borussia Dortmund, finalista di Champions League, che ha cresciuto in casa talenti come Gotze e Reus (col quale si è pure concesso il lusso di sbagliare, cedendolo alla concorrenza per ricomprarlo poi per 17 milioni di euro) e acquistato a prezzo di saldo Lewandowski nel 2010, all’epoca semisconosciuto e ora oggetto del desiderio.

Del resto, la Juve e, in generale, il calcio italiano (si pensi al Milan, all’Inter e ad altre società sempre più contrarie alle spese folli) pare si stiano lentamente muovendo verso questa direzione (magari più per necessità che per convinzione). E, in nome del buonsenso e del significato che dovrebbe avere qualunque sport, è meglio così. 

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