Ventimiglia, una frontiera piena di dolore e di umanità

In questa città di frontiera i diritti umani vengono negati, ma la solidarietà impera. Ne abbiamo parlato nell’inchiesta di gennaio della rivista Città Nuova
Frontiera francese fra Mentone e Ventimiglia all’altezza di Ponte San Ludovico. In primo piano compare un cuore disegnato su “Il Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto, un’opera d’arte composta da un doppio segno di infinito che rappresenta la ricerca dell’equilibrio tra gli opposti. Foto: Candela Copparoni

È di questa settimana la notizia delle violenze perpetrate contro i migranti a Ventimiglia, alla frontiera tra l’Italia e la Francia. Una realtà che ha fatto scalpore quando è diventato virale il video dell’accaduto, con un camionista che prendeva a cinghiate alcuni migranti nascosti nel suo camion. Un episodio brutale, ma purtroppo non isolato.

Ventimiglia è una città ligure della provincia di Imperia che si sviluppa presso la foce del fiume Roja. Situata a pochi chilometri dal comune francese di Mentone, è conosciuta come “la porta occidentale d’Italia” o “la città di confine”. Secondo i dati Istat sul bilancio demografico, in data 31 dicembre 2022 il comune era abitato da 22.851 persone, delle quali 2.913 (12,7%) di origine straniera.

La migrazione è un fenomeno che ha storicamente caratterizzato Ventimiglia, città di arrivo dopo la Seconda guerra mondiale di migliaia di cittadini provenienti dall’Italia meridionale. In più, la sua vicinanza geografica con la Francia la renderebbe una via di accesso piuttosto agevole al resto dell’Europa, se non fosse che l’11 giugno 2015 Parigi ha deciso, per “motivi di sicurezza”, di sospendere l’accordo di Schengen, che prevede l’abbattimento delle frontiere interne nell’Ue e la libera circolazione delle persone. Da allora, ogni 6 mesi il Consiglio di Stato francese ha prorogato il ripristino dei controlli alle sue frontiere, facendo dipendere l’ingresso da criteri discriminanti come il colore della pelle o i tratti facciali.

Le persone straniere che arrivano nella città ligure sono perlopiù migranti in transito giunti in Italia da Lampedusa, o talvolta attraverso la rotta balcanica, che desiderano raggiungere altri Paesi europei dove risiedono i loro familiari o amici, e in cui si parla l’inglese o il francese. Tuttavia, vengono bloccati al confine italofrancese, impossibilitati a continuare il loro viaggio, in base ad un accordo bilaterale secondo il quale i dispositivi di polizia dei due Stati restituiscono reciprocamente gli extracomunitari intercettati nell’atto di oltrepassare la frontiera. In questo modo, coloro che cercano di accedere in territorio francese vengono respinti in Italia con un refus d’entrée, un foglio che comunica il rifiuto di entrata appellandosi al regolamento di Dublino, che stabilisce che deve essere il primo Paese europeo nel quale arriva la persona in movimento ad occuparsi della richiesta di asilo.

Ci sono due punti di accesso frontaliero tra Ventimiglia e Mentone: uno è quello di Ponte San Ludovico, adiacente agli scogli, sui quali centinaia di persone migranti si erano accampate nell’estate del 2015; l’altro è il Ponte San Luigi, sulla collina, dove gli intercettati nel pomeriggio vengono messi in container e trattenuti fino alla ripresa delle procedure di respingimento il mattino dopo. Come sottolinea Medici Senza Frontiere (Msf) nel rapporto “Vietato passare. La sfida quotidiana delle persone in transito respinte e bloccate alla frontiera franco-italiana”, le persone vengono private della loro libertà in condizioni di sovraffollamento, senza separazione tra adulti e bambini, uomini e donne, con servizi igienici e di cura inadeguati, casi di mancato rifornimento di acqua e cibo, senza protezione davanti a condizioni climatiche estreme.

Container dal lato francese della frontiera dove vengono trattenute le persone migranti. Foto: Candela Copparoni

È in questa zona di confine, sul versante italiano, che conosco Mahamadou. Mi racconta che era andato a Milano per trovare suo fratello e che stava rientrando in Spagna, dove vive da circa 6 anni, quando la polizia francese lo ha obbligato a scendere dall’autobus su cui viaggiava e gli ha requisito il passaporto. «Ho un lavoro, una casa, una vita in Spagna, non posso dormire qua fuori al freddo!», mi dice angosciato. Lo accompagno insieme ad altri volontari della comunità locale fino alla Caritas Intemelia, dove un avvocato cerca di capire la situazione e di spiegargli che può far ricorso attraverso un avvocato francese per recuperare il suo documento. Dovrà essere all’indomani però, perché ormai è mezzogiorno e siamo in orario di chiusura. Gli diamo un passaggio fino alla stazione dei treni, da dove proverà ad arrivare a Mentone… inutilmente, alla prima fermata verrà nuovamente respinto.

Simone Alterisio, avvocato e responsabile dei progetti sulle frontiere per la Diaconia Valdese, evidenzia che le prassi illegittime e l’abuso di potere da parte della polizia sono all’ordine del giorno. Oltre a superare le 4 ore di fermo amministrativo ammissibili, i migranti raccontano di aver subito maltrattamenti e percosse. I respingimenti si rivelano indiscriminati, sistematici e collettivi, senza tenere conto della situazione e delle vulnerabilità individuali di ciascuna delle persone interessate, in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta le espulsioni di massa degli stranieri. Inoltre, si riscontrano numerosi respingimenti di minori stranieri non accompagnati, il che comporta una grave violazione del Regolamento Dublino 604/2013 Ue.

Dalla parte italiana, la violazione dei diritti umani ha luogo nella difficoltà di accesso alle procedure, nell’impossibilità di chiedere asilo in frontiera e nella mancanza di informazioni sulla propria condizione e di una adeguata mediazione interculturale e linguistica. Questa carenza di protezione e di libertà di movimento si ripercuote in una esacerbazione della marginalità e della precarietà delle persone in transito, specialmente delle categorie più vulnerabili quali i minori non accompagnati, le donne incinte e le vittime di violenze sessuali e di genere.

Ventimiglia è una città di passaggio verso la quale vengono respinte una media di 80 persone al giorno, secondo i dati rilasciati dalla Prefettura di Nizza durante il primo semestre del 2023. Le organizzazioni della società civile denunciano che si tratta di una questione non emergenziale ma strutturale, che viene gestita come un problema di ordine pubblico e sicurezza al quale si fa fronte mediante l’applicazione di politiche migratorie orientate al contenimento più che alla tutela dei singoli individui. In più, affermano che ci sono meno politiche di inserimento sociale e che la situazione è peggiorata rispetto al 2015.

Nella città di confine non c’è nessun centro di accoglienza, dopo che sono stati chiusi quello della Croce Rossa nei pressi della stazione ferroviaria, un altro nella parrocchia di Sant’Antonio nel quartiere delle Gianchette e l’ultimo, il Campo Roja gestito dalla Croce Rossa, smantellato il 31 luglio 2020. Di conseguenza, la popolazione migrante si vede spinta a passare la notte nei dintorni della stazione, sulla spiaggia alla foce del Roja o sotto il ponte autostradale di Roverino, spesso oggetto di perquisizioni e rimozione degli accampamenti. Data l’inesistenza di bagni o fontane pubbliche dove prendere acqua per l’igiene personale, le persone in transito erano solite accedere al cimitero per l’utilizzo dei sanitari, ma dal 31 luglio 2023 due guardie impediscono loro l’ingresso. Gli operatori di Msf hanno rilevato infezioni, malattie dermatologiche, lesioni, patologie respiratorie, disturbi gastrointestinali e deterioramento delle patologie preesistenti derivanti dalla mancanza di alloggi e strutture igienico-sanitarie adeguati e da una limitata assistenza sanitaria.

Nonostante le molteplici difficoltà e ostacoli, i vari attori presenti sul posto affermano che praticamente tutte le persone in movimento riescono a superare il confine e a raggiungere la loro destinazione. Questo avviene ricorrendo a vie alternative rischiose e in certe occasioni letali: a piedi sull’autostrada o lungo i binari, nascoste sui pantografi dei treni o attraverso il “Passo della morte”, un sentiero in montagna che percorrono nel buio della notte.

A Ventimiglia, città di confine con la Francia, in cima alla montagna c’è una rete che delimita i due Paesi e un buco che li unisce. Siamo al Passo della morte. Foto: Lorenzo Palmero

Dall’inasprimento dei controlli di una Francia sigillata e dal disinteresse istituzionale nel fornire una soluzione adeguata che rispetti la dignità e i diritti delle persone migranti, deriva un’inammissibile esposizione degli individui a gravi pericoli quali la tratta di esseri umani, la violenza sessuale, lo sfruttamento, la schiavitù, la prostituzione o il narcotraffico. Con questo atteggiamento, gli Stati europei, che si vantano di difendere i diritti umani e valori come «libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne», non fanno che aggravare, rallentandoli senza fermarli, le complicazioni e le sofferenze dei migranti che lottano per proseguire il loro viaggio.

«L’emergenza ce la siamo creata», lamentano i cittadini coinvolti nell’assistenza ai migranti, rivolgendo lo sguardo verso le 50 persone che dal 2015 hanno perso la vita nella frontiera italofrancese, secondo i dati del laboratorio di ricerca e analisi sulle frontiere On Borders. Una realtà drammatica che colpisce particolarmente, se si pensa che i decessi registrati durante il primo quinquennio di secolo sono pari a zero.

È inevitabile pensare che, finché ci saranno le frontiere, continueranno ad esistere il degrado umano e le crisi migratorie, perché quella in atto è una logica di repressione che autoalimenta il blocco di persone in una lotta senza fine. La spinta a sopravvivere è più forte di qualunque confine. I confini non fermeranno chi prova ad ogni costo a proteggere la vita umana. Perché il risultato è palesemente quello: le persone che cercano di superare i confini o ci riescono, o muoiono nel tentativo. Mentre scrivevo questo articolo, ho ricevuto un messaggio da Mahamadou. Fortunatamente lui è riuscito a tornare a casa.

Generosità e accoglienza senza confini
Una vasta rete di persone, ong e associazioni hanno messo insieme le proprie forze per offrire un aiuto concreto ai migranti bloccati alla frontiera tra Ventimiglia e Mentone.

Antonio De Cristoforo, cuoco della “cucina di don Rito” alla Caritas parrocchiale San Rocco di Vallecrosia. Foto: Lorenzo Palmero

Davanti a un’opportunità politica di intervento mancata e all’inazione istituzionale nel favorire una migliore qualità di vita delle persone presenti sul territorio, società civile, associazioni non governative, operatori sanitari ed entità religiose si sono rimboccati le maniche per garantire la doverosa assistenza umanitaria di cui la popolazione di passaggio nella porta occidentale d’Italia ha bisogno. Il cuore di questa solidarietà organizzata si trova alla Caritas Intemelia, che in collaborazione con altre organizzazioni come Save the Children, WeWorld, Medici del Mondo e alla Diaconia Valdese offre ai migranti uno spazio di accoglienza dove mangiare, farsi una doccia, lavare i vestiti e ricevere assistenza legale e sanitaria. Infatti, medici volontari si alternano nell’infermeria, come la dentista Paola Amoretti, che almeno una volta al mese arriva da Imperia per alleviare il mal di denti. Mentre i bambini giocano, i genitori hanno 4 giorni di tempo per decidere se richiedere asilo politico o tentare di varcare la frontiera.

«Oltre a dare un pasto, cerchiamo di costruire un rapporto con loro – afferma Corrado Mauceri, uno dei volontari che serve alla mensa insieme ad altri del Movimento dei Focolari –. Tanti vogliono farsi una foto con noi per ricordarsi che siamo stati insieme, perché qui si sono trovati bene. Si muove una generosità fortissima, a Ventimiglia arrivano generi di varie necessità da diversi punti dell’Italia e oltre!».

Ad agosto di quest’anno sono stati stanziati per la prima volta dei fondi ministeriali per l’apertura di un Punto di Accoglienza Diffusa (Pad) destinato ad accogliere donne sole e famiglie, con una capacità massima di 20 persone. Per gli uomini la Caritas può alloggiare fino a 12 senza dimora, per cui il Ministero dell’Interno prevede di aprire un secondo Pad con 70 posti a disposizione.

Nel frattempo, è la comunità locale che da 8 anni si mobilita davanti alle necessità, aprendo le porte delle case per accogliere i migranti. È il caso di Filippo e Loredana, che hanno arredato due stanze nella loro abitazione per donne e famiglie in difficoltà. «Le donne sono sotto tratta. Mentre il prezzo del passaggio per un uomo gira attorno ai 150€, per una donna varia tra i 250 e i 300€. Loro pensano di aver già pagato per attraversare il confine con la Francia, ma non è incluso nel prezzo richiesto dagli scafisti per arrivare fino a Lampedusa e si ritrovano senza soldi. Lì compare la figura del passeur, che si serve di meccanismi coercitivi di violenza per vendere i passaggi».

Un altro esempio sono Paola e Gianpaolo, una coppia di Famiglie Nuove che 6 anni fa è diventata famiglia affidataria di un minore non accompagnato. «Mohammed è un uomo libero! Per noi è diventato un figlio a tutto tondo», spiegano. La loro storia sembra un paradosso, perché Gianpaolo è un poliziotto di frontiera. Tuttavia, era coinvolto in prima linea nel coordinamento dei numerosi gruppi che desiderano contribuire a lenire fame e ferite delle persone in movimento. Quando gli chiedo come si sente nel conciliare questi due aspetti apparentemente contrapposti, mi risponde: «Mi sento molto vero, perché vedo la realtà da vari punti di vista. C’è tanto di sbagliato nella migrazione, ma c’è anche tanta umanità; sebbene professionalmente me ne occupi da un punto di vista amministrativo e giudiziario, non dimentico di avere a che fare con delle persone che portano con sé la loro storia, la loro vita, i loro sogni», afferma.

O ancora Piera e Lorenzo, due volontari che sono la solidarietà personificata. Loro dicono di essere dei “tappa buchi” perché sono disponibili, insieme alla comunità, ad aiutare nelle circostanze più inaspettate, ma questo si traduce in un dono di beni, tempo e amore in maniera incondizionata.

Una bambina migrante in braccio a Piera Santoianni, volontaria del Movimento dei Focolari di Vallecrosia. Foto: Lorenzo Palmero

Ci sono tante altre figure in questa terra di confine che attuano la carità. Come Delia, che i migranti hanno soprannominato “Mama Africa”. Lei aveva trasformato la sua attività commerciale, il Bar Hobbit, in un vero e proprio centro culturale di accoglienza, un punto di riferimento per le persone in transito e per gli operatori che le assistono. Delia ha accolto in casa sua decine di donne che ha sottratto dal giro della prostituzione, cambiando la vita di tante persone. Ha “spezzato” e donato se stessa per i poveri, fino a rimetterci la salute al punto da dover chiudere il bar. «Devo ringraziare a vita i miei ragazzi, che mi hanno lasciato un’eredità immensa: ho conosciuto persone meravigliose che ragionano ancora con il cuore; è quel legame che unisce le persone che fanno del bene. Ho ricevuto tanto amore, e questo ha ripagato la mia sofferenza emotiva».

E come don Rito, che insieme a un gruppo molto affiatato della Caritas parrocchiale San Rocco di Vallecrosia ha distribuito nell’ultimo anno circa 10 mila pasti. Lo hanno fatto, come i molti gruppi che si alternano per garantire la cena ai bisognosi, nel parcheggio che c’è tra il cimitero di Ventimiglia e il cavalcavia. Proprio lì, a pochi metri da dove nel 2016, mentre era parroco della chiesa delle Gianchette, ha dato vita a un’esperienza di Chiesa aperta, multiconfessionale ed ecumenica accogliendo nei locali della parrocchia oltre mille persone durante 440 giorni.

Ci sono altre realtà che a Ventimiglia lavorano per l’integrazione dei migranti, come l’associazione culturale Popoli in Arte che, tra le varie attività, si impegna a seminare tolleranza e contrastare il razzismo con murales dipinti assieme da italiani e stranieri; Progetto 20K, una piattaforma politica che si occupa di far monitoraggio lungo la frontiera e fornire supporto logistico alle persone in transito come uno spazio dove ricaricare il cellulare; Scuola di Pace, Movimento dei Focolari, la rete No Borders e molti altri, tra cui varie organizzazioni e collettivi francesi.

Dopo tutto, forse bisogna trasformare lo sguardo e capire che nessun essere umano è “illegale”, mentre lo sono determinate prassi di detenzione, respingimento e contenimento che si susseguono per ostacolare il transito delle persone in movimento pretendendo di trattenerle in un territorio in cui non vogliono restare. Come scriveva in uno dei suoi articoli Silvano Gianti, collaboratore di Città Nuova scomparso nell’aprile 2020, che per anni ha raccontato la durezza e la bellezza, le contraddizioni e la generosità vissute nella città di confine, «l’Europa dei popoli s’è costruita a Ventimiglia. L’hanno costruita giovani appartenenti ad ogni credo, ad ogni colore politico, ad ogni sigla. È questa l’Europa che vogliamo vedere presto».

Gruppo di volontari che distribuiscono pasti e indumenti a Ventimiglia.

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