Venticinque anni di un cammino che continua

Sono giunte in Italia le delegazioni che parteciperanno al pellegrinaggio del 27 ottobre. Non solo un ricordo dello storico incontro del 1986, ma anche la conferma di un impegno a proseguire
Incontro ecumenico

Numerose le delegazioni giunte già ieri da diverse parti del mondo per unirsi al pellegrinaggio che Benedetto XVI ha indetto per domani 27 ottobre ad Assisi, a ricordo dello storico avvenimento di venticinque anni fa. Ma non si tratterà solo di una commemorazione: sarà un momento di riflessione e di rinnovo dell’impegno a costruire la pace, nella ricerca comune della verità.

 

Molte sono le reazioni all’evento. Da un lato lo si tace di fronte ai problemi che attanagliano l’Italia, dove malgrado tutto si svolge l’avvenimento. Ma più che di una mancanza di interesse si tratta di un necessario concentrarsi dei media su una situazione ormai endemica del Paese, che preoccupa la gente per la difficile situazione economica e la pochezza della classe politica nell’affrontarla.

 

Dall’altro, quando se ne è parlato nei mesi scorsi o se ne parla anche in questi giorni, non mancano polemiche e commenti spesso pessimisti, quasi a significare che di fronte alla capacità di Giovanni Paolo II di aprire nuove frontiere ora si sta brancolando nel buio e si cerca di fare marcia indietro. C’è poi sempre la spada di Damocle del sincretismo.

 

A questo proposito mi pare serena ed equilibrata l’analisi di Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, che in un’intervista rilasciata il 25 ottobre a Zenith ha sottolineato alcuni aspetti importanti dell’ incontro interreligioso del 27 ottobre. Non si tratta di un’iniziativa in contrapposizione con i precedenti incontri di Assisi e nemmeno di un atto di sincretismo religioso, ma di un segno che la strada dell’ecumenismo e del rapporto fra fedeli di diverse fedi per la costruzione della pace sono processi irreversibili.

 

Vian ha chiarito che «se dalla giornata di preghiera del 1986 si è voluto concludere che tutte le religioni sono uguali, che è indifferente il credo e che la scelta cristiana è uguale alle altre, questo non era certo il senso dell’iniziativa di Giovanni Paolo II». D’altra parte, ha notato il direttore del quotidiano della Santa Sede, i Padri della Chiesa hanno maturato fin dai primi secoli la teoria del semi del Logos, del Verbo: «la verità è nel Logos, in Cristo, ed è presente misteriosamente in ogni parte dell’universo». È un’esperienza che non è rimasta isolata e che ha trovato nell’epoca missionaria del XVII secolo dei rappresentanti significativi nella scuola dei gesuiti che hanno operato in Asia (India, Giappone, Cina): ne sono esempio Roberto De Nobili, Alessandro Valignano e Matteo Ricci, che hanno cercato di rintracciare quei segni nelle antichissime tradizioni religiose che non avevano mai conosciuto Cristo.

 

«Benedetto XVI lo sta ripetendo di continuo, in coerenza con tutta la tradizione cattolica, ininterrotta e viva», ha tenuto a chiarire il direttore dell’Osservatore Romano. È proprio questo che spiega la scelta di rispettare nell’incontro interreligioso di Assisi l’identità specifica di ciascuno per evitare il rischio di sincretismo.

 

Sincretismo: parola che spesso si sente tornare, come pericolo del dialogo e anche dell’idea originale di Assisi. Ma Vian ha voluto tracciare un breve profilo storico per fugare i timori: «Bisogna conoscere un po’ la formazione culturale, l’insegnamento episcopale e poi papale di Karol Wojtyła, senza dimenticare che sin dalla fine del 1981 il papa chiamò accanto a sé Joseph Ratzinger come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, mantenendolo al suo posto malgrado le reiterate richieste del cardinale di tornare ai suoi studi in Baviera. Ecco, tenendo conto di tutto ciò mi sembra veramente impossibile che ci fosse del sincretismo nelle intenzioni di Giovanni Paolo II».

 

L’incontro di Assisi avrà carattere ecumenico, interreligioso e di dialogo anche con uomini e donne che non hanno un riferimento di fede, ma che credono nei valori universali dell’uomo. Un cammino che nelle sue specificità, nonostante tutto e nonostante quelli che Giovanni XXIII chiamava “profeti di sventura”, pare davvero irreversibile.

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