Venti nuovi sul Nilo
Prima di partire dal Cairo per tornare in Europa, i miei amici egiziani quasi mi costringono ad un giro serale sulle acque del Nilo a bordo di una feluca, cioè quelle barche un po’ panciute e dal fondo quasi piatto che scivolano sullo specchio d’acqua lasciandosi trasportare dalla corrente e dalla grande vela triangolare che inalberano a prua. Secondo loro, non si può capire appieno il paese dei faraoni senza un tale rito. Oggi, però, non abbiamo fatto i conti con un vento latitante. Ma è un’occasione propizia per riflettere su altri venti, impetuosi, che da varie direzioni stanno invece spirando sul mondo egiziano all’inizio del Terzo millennio. Il vento della democrazia C’è il vento della democrazia, materializzatosi di recente nelle parole del presidente Mubarak, il quale ha ventilato l’ipotesi di indire elezioni a suffragio universale per le prossime elezioni presidenziali. Il settimanale Al-Ahram, il più noto del paese, titola Mubarak sconvolge la scacchiera, cercando di non esporsi troppo: Le conseguenze sul piano pratico di questa importante evoluzione non possono ancora essere misurate, è scritto nell’articolo. E viene pure avanzata l’ipotesi – attribuita però all’opposizione – di un cedimento al diktat americano per dare una spolverata di democrazia ad alcuni paesi mediorientali. Un giornalista egiziano vuole spiegarmi il senso della mossa di Mubarak: Il popolo è sempre stato il riferimento al quale si sono indirizzati i capi di stato, in particolare Nasser e Sadat, per legittimare le loro decisioni e il loro potere al di là delle istituzioni. Questa mossa va nella stessa direzione. Anche se non sono pochi coloro – anche osservatori assai importanti, dall’in- terno del paese e non solo dall’esterno – che sostengono come l’Egitto non sia pronto ad una svolta del genere: chi mai potrebbe opporsi credibilmente all’attuale presidente? Tuttavia, che il vento occidentale spiri sul Cairo e sulle altre città egiziane è confermato dal semplice colpo d’occhio che si può gettare sull’inquinatissima capitale, ad esempio, dall’alto della Cittadella: un tappeto di antenne paraboliche copre i tetti, un mare di steli al dio catodo che inevitabilmente veicola e diffonde certi modelli di sviluppo e certe idee della democrazia che fanno della virtualità un loro cavallo di Troia. Senza dar la possibilità di digerire certi modelli che di per sé tanti danni già provocano. Il vento fondamentalista C’è il vento della democrazia, e c’è quello che in occidente chiamiamo genericamente fondamentalista, cioè quella corrente di pensiero, materializzatasi sin dagli anni Cinquanta soprattutto nello sviluppo impetuoso dei Fratelli musulmani, che rifiuta il modello occidentale materialista e ateo, sostenendo al contrario un ritorno al Corano considerato come intangibile e fonte di ogni risposta ai bisogni dell’uomo. Senza riandare ai sanguinosi attentati degli scorsi anni contro i turisti a Luxor e nel sud del paese, ciò si palesa in giro per le città egiziane con un aumento delle donne più o meno velate, con una pratica religiosa più stretta e regolamentata, con una certa tensione nei confronti delle minoranze presenti nel paese, a cominciare da quelle cristiano-copte, che insieme compongono il 9-10 per cento della popolazione, cioè circa 7 milioni di fedeli. Una presenza, quella dei Fratelli musulmani, che s’è fatta tuttavia più moderata di qualche anno fa, se un noto editorialista locale, Mohammed Al-Sayed Said, in un articolo intitolato I Fratelli musulmani e la democrazia, si chiede: Perché la confraternita suscita tanti timori?. Non sono più terroristi, sembra voler dire. In filigrana nell’articolo, ma con grande evidenza nel paese, è emerso negli ultimi tempi il problema delle conversioni. Se quelle dall’Islam al cristianesimo sono improponibili (anche costituzionalmente), quelle invece dal cristianesimo all’Islam sono all’ordine del giorno. Negli ultimi tempi hanno preso una svolta persino scandalistica, per via delle accuse rivolte da un paio di famiglie cristiane alla polizia e all’amministrazione statale di avere sequestrato le loro due figlie costringendole a cambiare religione. La tendenza è alla sdrammatizzazione, sia da una parte che dall’altra. Tempesta in un bicchier d’acqua, titolano i giornali di regime: L’annuncio di due giovani copte della loro intenzione di scegliere l’Islam ha suscitato una viva emozione in seno alla loro comunità. Le autorità le hanno riconsegnate alle loro famiglie per circoscrivere l’incidente. È evidente la tensione delle comunità copte che vedono tante loro ragazze, ma anche dei ragazzi, scegliere l’Islam per ragioni sentimentali o economiche: quanto vi sia di vero nella vena proselitistica di tanti musulmani, e quanto sia spontanea la conversione – spesso la fede cristiana in queste persone era estremamente debole, più culturale che altro – non è dato di sapere. Giuseppe Scattolin, comboniano, uno dei massimi esperti cattolici di islamismo, e in particolare di sufismo, non ha dubbi: Negli ambienti accademici e politici sta sviluppandosi il wahabismo, cioè una corrente di rinnovamento del mondo islamico che ha chiare tendenze fondamentaliste. Il pensiero rischia così di bloccarsi, e la libertà alllontanarsi. Il tema dato ai suoi affiliati dall’Associazione filosofica egiziana per l’anno passato è stato non a caso: Filosofia della resistenza. Tutto un programma! E dire che il pensiero islamico è sempre stato, invece, ricchissimo e variegato, e lo è anche oggi. Il vento dell’orgoglio In questo contesto spazzato dai venti contrapposti della democrazia e del fondamentalismo (quanto semplicistiche appaiono però queste due definizioni, così bisognose di sfumature) la natura del popolo egiziano emerge prepotente. Una natura da un lato assai orgogliosa – l’epoca faraonica sembra non essere mai tramontata definitivamente – e nel contempo accogliente. Spigliata ed elegante, la signora Teyseir M. Mandour è una donna che non porta il velo; con tutta evidenza sa stare ovunque, con diletto e capacità innate. Professoressa di medicina nella prestigiosa università Al-Azhar, da tempo profonde tutte le sue energie nella ricerca di una proficua intesa tra le civiltà, tra le religioni. Da subito appare donna di coraggio, impegnata com’è per i diritti della donna in un paese dove nemmeno il maschio li detiene tutti. Mi dice: L’egiziano è persona ricca di cultura e di tradizioni storiche, e qualunque cosa faccia detiene in sé i geni della nostra grande tradizione. Una tradizione, però, che non è solo orgoglio fine a sé stesso, ma desiderio di accogliere le altre culture e di lavorare per una pacifica convivenza degli uomini di diverse origini. Un orgoglio col quale mi sono scontrato non appena inforcavo gli occhiali della mia cultura occidentale, malata di diritti: quando non sopportavo la vista delle distese di casupole poverissime della Città dei morti, una voce si levava a dirmi: guarda i palazzi avveniristici lungo il Nilo. E quando visitavo, all’ombra delle imponenti piramidi di Cheope, Chefren e Micerino di Giza, il centro della Caritas che si occupa dei bambini di strada del Cairo – dicono siano cento o addirittura duecentomila -, i suoi animatori hanno subito preso a sottolineare le qualità di questi ragazzi, più che le difficili situazioni familiari all’origine dei loro drammi e delle loro fughe. Logico, non c’è nulla da scandalizzarsi, anche noi italiani abbiamo le nostre fobie e i nostri nazionalismi: guai, ad esempio, se ci definiscono un popolo di mafiosi… Ma l’orgoglio degli egiziani ha un tono simpatico e non arrogante, che sa rigirarti tra le mani i problemi senza che tu te ne accorga, cogliendo le possibilità che l’eventuale soluzione di quel problema aprirebbe. Il patriarca copto-cattolico, Stephanos II – il cardinale del Cairo è la principale autorità cattolica -, accogliendomi nella sua residenza nel quartiere di Heliopolis, vetrina discreta e aperta del paese, sul popolo egiziano, si esprime così: È un popolo semplice, gioviale, fattivo, che non va dietro a strane idee moderne… È un popolo che si accontenta di quello che ha. La famiglia è buona e sana da noi. I difetti? … Sua eminenza non risponde, ma sorride con un velo d’orgoglio egiziano nello sguardo. Non per niente copto significa egiziano. Il vento del dialogo Forse l’orgoglio nazionale di cui l’Egitto deve andare fiero è proprio quello dell’accoglienza che sa farsi dialogo. Mi dice ancora il patriarca Stephanos II: Ai nostri cattolici io dico sempre: siate luce del mondo, siate onesti, siate cordiali e caritatevoli e misericordiosi. Solo questo ha valore, tutti i cristiani debbono avere tali atteggiamenti, che sono la loro carta da visita, come in realtà lo sono di tutti gli egiziani. Una conferma la trovo nella bella casa a picco sul Nilo, una sarabanda di luci e colori notturni, del dott. Ali El Samman, musulmano, uomo d’affari e vice-presidente del comitato per il dialogo di Al-Azhar. Mi presenta un paese che naturalmente è portato al dialogo e alla tolleranza, come insegna la storia del nostro paese. Siamo un ponte con l’occidente, questo non dovete mai dimenticarlo. E paradossalmente, persino nei monasteri copto-ortodossi di Wadi Natrun, che si ergono come fortezze imprendibili in un’oasi nel deserto tra il Cairo e Alessandria, trovo un clima di accoglienza nei confronti di tutti, persino dei musulmani, nemici di secoli. Scorgo in effetti alcune scolaresche di ragazzi quasi tutti di religione islamica in visita ai luoghi-simbolo della cristianità egiziana: qui ha vissuto come monaco papa Shenouda, l’attuale patriarca dei copto-ortodossi, e sempre qui è stato confinato da Sadat durante quattro anni di persecuzione. Qui, dal IV secolo, mai un solo giorno è passato senza la presenza di un monaco, persino nei più bui periodi di persecuzione. Ma le parole di dialogo più calorose e significative le ricevo dal grande imam dell’istituzione Al-Azhar, Muhammad Sayed Tantawi, rettore massima autorità religiosa del mondo sunnita mondiale: a lui si rivolgono le personalità religiose e civili per dirimere le principali questioni che attraversano il mondo sunnita, come ad esempio è stato per l’uso del velo da parte delle donne musulmane in Europa: è permesso non usarlo, ha decretato, a determinate condizioni. Nello studio in cui avvenne nel 2000 il suo storico incontro con Giovanni Paolo II, mi rivolge parole di pace e conciliazione: La religione musulmana è non solo favorevole al dialogo, ma lo considera un imperativo. L’uomo è per natura portato alla pace, e bisogna favorire l’emergere di questa sua dote. Con le religioni monoteiste dobbiamo mostrare che l’uomo è un essere di pace. Sembravi un vero musulmano Arrivando al Cairo, avevo il naturale desiderio turistico e culturale di visitare le chiese copte e quelle cattoliche, le moschee e persino le sinagoghe. Se ne vedono tante, un po’ ovunque nella città. Ma nel quartiere dei cimiteri, a sud del vecchio Cairo e dell’isola di Roda, si propongono tutte assieme, le une aggrappate alle altre, le une nascoste o evidenziate dalle altre, in un reciproco rincorrersi e proteggersi, per poi abbandonarsi alla coabitazione. Forzata o voluta, comunque coabitazione. Altri tempi, purtroppo, verrebbe da dire, perché oggi la coabitazione è difficile. Ma non si può cancellare la storia, quella profonda, che vive nell’animo della gente. E mi sovvengo di una storiella, un fatto vero, raccontatomi una sera da un uomo sulla quarantina, impiegato in un’azienda petrolifera. Siamo solo due cristiani a lavorare in una grossa ditta. Qualche giorno addietro è scoppiata una grana nella ditta, per via dei diritti dei lavoratori che non venivano rispettati. Abbiamo così organizzato un invio di email ai nostri responsabili. Ho distribuito i volantini a tutti i colleghi perché inviassero anch’essi messaggi di protesta. Si è risaputo che ero stato io a organizzare quella civile dimostrazione. Il direttore è venuto da me e mi ha chiesto se questa denuncia fosse vera. Ho risposto affermativamente. E lui mi ha ingiunto di smetterla. Non sono uno spirito rivoluzionario; ma, quando ledono i diritti delle persone, divento un leone, e non riesco a rimanere zitto. E l’ho detto chiaro e tondo al mio superiore, sapendo che rischiavo il mio posto. Questi mi ha ascoltato, e poi mi ha confessato che conveniva con la mia idea. Le cose sono andate bene, alla fine, e un collega di religione islamica mi ha detto: Sembravi un vero musulmano. Una piccola storia che però ritengo sveli la natura dell’egiziano: politicamente aperto, assai religioso, orgoglioso di tradizione, dialogante di vocazione. Se il popolo che discende dai faraoni riuscirà a rivitalizzare queste sue caratteristiche, l’Egitto manterrà e svilupperà il suo ruolo primario nel gettare ponti tra occidente-piuttostocristiano e oriente-piuttosto-musulmano.