Vent’anni dall’omicidio di Livatino
Numerosi gli eventi a ricordo del "giudice ragazzino", che ha pagato con la vita il suo impegno nella lotta alla mafia agrigentina.
«Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza». Con queste parole Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica, aveva definito i giovani magistrati impegnati nella lotta alla mafia. Ragazzini certamente, freschi di studi ma pieni di voglia di fare, di cambiare il mondo, di proporre altre regole al tavolo da gioco della vita, proprio come tutti i ragazzini del mondo.
Tra questi anche Rosario Livatino. Oggi ricorrono 20 anni dalla sua morte. Fa un certo effetto percorrere la strada statale 640 tra Agrigento e Caltanissetta e immaginare la scena: Livatino che si accorge dei sicari in un’auto che lo insegue, scende dalla macchina, tenta la fuga lungo il vallone assolato. Non ha nemmeno 38 anni e può correre, ma la sua è come la fuga di una lepre che cerca riparo nell’erba, inutilmente.
Oggi numerosi eventi ricordano la sua figura: a distanza di vent’anni Livatino fa ancora parlare di sé e non solo come magistrato impegnato nella lotta alla mafia agrigentina: lo scorso 6 maggio è stato annunciato l’avvio del processo diocesano di canonizzazione proprio di questo giudice ragazzino. Giovanni Paolo II lo aveva definito «martire della giustizia e indirettamente della fede». Da anni sono in circolazione alcune specifiche pubblicazioni che ricostruiscono la sua personalità anche spirituale: libri, film, documentari.
È importante sottolineare che i mandanti e gli esecutori dell’omicidio di Livatino sono stati tutti individuati e condannati. Evidentemente altri giudici ragazzini si sono messi sulle loro tracce e, anche a costo della vita, hanno raccolto il testimone che Livatino (e non lui solo) aveva passato di mano.