Vengono a stare a casa mia
Sentirsi a casa, una delle sensazioni più piacevoli e rassicuranti. È bello viaggiare, conoscere altri luoghi, la compagnia degli amici. Spesso ci si trova a proprio agio anche nell’ambiente di lavoro, con gli amici. Ma quando si torna a casa è tutta un’altra cosa. “Casa mia, casa mia / per piccina che tu sia / tu mi sembri una badia”, scriveva Elda Bossi in una famosa filastrocca per bambini. Non c’è soggezione a casa, si è rilassati, ci si sente protetti. La casa, naturalmente, non sono soltanto le sue mura, è fatta soprattutto dalle persone che la abitano, dagli affetti che racchiude.
Gesù lo sa, lui che ha provato l’intimità della famiglia di Nazaret, come pure la desolazione di non avere dove posare il capo. Per questo vuol farci casa e, paradossalmente, si invita a casa nostra, come quella volta che si rivolse a Zaccheo sorpreso appollaiato sul sicomoro: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19, 5). Sì, perché se Gesù viene a casa è come quando si accoglie un amico che porta aria di festa; o meglio ancora, come quando lo sposo entra nella casa della sposa e quelle mura diventano davvero una casa, una famiglia. «Oggi per questa casa è venuta la salvezza», ripete Gesù una volta dentro, come da Zaccheo a Gerico (Lc 19, 9). S’è lui siamo davvero a casa.
La sua venuta è oggetto di una promessa: «Se uno mi ama, osserverà la mia parole e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Il momento è solenne e drammatico. Siamo nell’ultima cena e Gesù ha appena annunciato ai suoi amici che li lascerà per tornerà al Padre. Ha già promesso che non rimarranno soli, perché manderà loro “un altro Consolatore”. Promessa straordinaria, come abbiamo visto, ma a Gesù non basta, vuole tornare anche lui e vuole portare con sé il Padre. Non soltanto avremo lui di nuovo, ma la Trinità intera! Vengono insieme… Allora sì che la casa diventa famiglia.
Non vengono di passaggio, per qualche giorno, per una visita saltuaria, prenderanno dimora stabile, intenzionati a rimanere con noi per sempre. “Dimorare” (in greco ménō) è un verbo che piace particolarmente a Giovanni, lo usa ben 67 volte. Vi traspare in filigrana il ricordo di quando Dio dimorava con il suo popolo in quella che si chiamava proprio “la dimora”, costituita prima dalla tenta del convegno, al tempo del cammino nel deserto, poi dal tempio, dalla città di Gerusalemme. Adesso che il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi (cf. Gv 1, 14), inizia una nuova presenza di Dio tra noi. Non più un luogo circoscritto, ma il cuore di ogni credenti, l’assemblea dei fedeli, la Chiesa.
Le promesse al riguardo si moltiplicano, sempre sullo stesso tono: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (6, 56), «Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (14, 21), «Rimanete in me e io in voi» (15, 4). Il rimanere diventa reciproco: noi casa dove viene Dio ad abitare, lui casa dove noi possiamo dimorare, per sempre. Basta sedersi alla mensa dell’Eucaristia e a quella della Parola, accogliere e vivere il comandamento dell’amore.
Quanti hanno aderito a questo invito di Gesù assicurano che la sua promessa si realizza, fin da ora. Le testimonianze sono concordi. «Io ho trovato sulla terra il mio cielo; perché il cielo è Dio – scriveva Elisabetta della Trinità un secolo fa –, e Dio è nell’anima mia. Il giorno in cui l’ho compreso, tutto per me si è illuminato; vorrei svelare questo segreto a tutti quelli che amo, perché anch’essi aderiscano sempre a Dio e si realizzi così la preghiera di Cristo: Padre, che siano perfetti nell’unità». Più vicina a noi Chiara Lubich: «La Trinità dentro di me! / L’abisso dentro di me! / L’immenso dentro di me! La voragine d’amore dentro di me! / Il Padre che Gesù ci ha annunciato / dentro di me! / Il Verbo! / Lo Spirito Santo, che voglio sempre / avere per servire l’Opera, / dentro di me! // Non domando di meglio. / Voglio vivere in questo abisso, /perdermi in questo sole, / convivere con la Vita Eterna».
La promessa è per ciascuno di noi, basta “arrendersi” alla sua parola, lasciarsi trascinare dal suo amore, “aprirgli la porta”, ed egli subito entra e fa casa con noi: «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20). Più casa di così!