Il Venezuela sceglie la moneta virtuale
Il Venezuela sarà il primo Paese a emettere una moneta virtuale nazionale: il petro. L’ha annunciato nei giorni scorsi il presidente Nicolás Maduro, come misura per salvare l’economia venezuelana e la sovranità monetaria minacciate dall’elevatissimo deprezzamento e dall’inflazione dovuti, secondo il governo, oltre ai bassi prezzi del petrolio (prima risorsa del Paese), alla «guerra economica» condotta dall’opposizione e da poteri esterni, tra i quali gli Stati Uniti con le loro sanzioni economiche.
La criptomoneta si ispira al bitcoin, la valuta di maggiore rendimento finanziario del mondo, che tra l’altro dá lavoro, sul filo della legalità, a molti venezuelani che operano nel suo complesso sistema di mercato e controllo digitale. Ma, a differenza delle monete virtuali propriamente dette, il petro sarà garantito dalla copertura fisica delle riserve nazionali di «oro, petrolio, gas e diamanti», ha spiegato Maduro nel suo programma televisivo domenicale. Il Venezuela possiede le maggiori riserve petrolifere comprovate del pianeta, e anche le altre tre materie prime abbondano. Il bolívar, la moneta ufficiale dello Stato, è in caduta libera: 100 mila bolívar valgono meno di 1 dollaro sul mercato nero (che è attualmente quello di riferimento).
L’iniziativa del petro è stata proposta al capo dello Stato dal ministro per l’Università, la Scienza e la Tecnologia, Hugbel Roa, dal quale dipenderà l’osservatorio che sarà creato per gestire la nuova valuta. Il suo funzionamento si basa su una gigantesca base di dati criptati, che registra le operazioni anonime realizzate nella valuta virtuale, e da un esercito di “minatori”, che controllano il sistema attraverso supercomputer, attualmente clandestini. Il Venezuela è tra i primi Paesi al mondo nel movimento del bitcoin e del suo indotto, in gran misura a causa della sua instabilità finanziaria e delle grandi difficoltà del mercato finanziario e cambiario nazionale, e il suo successo è agevolato dal basso costo dell’energia elettrica, consumata in ingenti quantità dai supercomputer che gestiscono e controllano il sistema.
Il Paese è stato recentemente dichiarato dalle agenzie Standard & Poor’s e Fitch in default selettivo per l’insolvenza in alcuni pagamenti, mentre l’inflazione ha raggiunto il 652 % annuo e il Pil è sceso del 12% (dati del Fondo monetario internazionale). Ma in questo contesto disastrato, il petro sarà la soluzione? Gli esperti storcono il naso. In primis, secondo alcuni come l’agenzia Goldman Sachs, le criptomonete sono ormai di fatto più una commodity che una valuta, motivo per il quale non sarebbero strumenti appropriati in questo caso. Oltre 380 mila operazioni giornaliere si effettuano attraverso bitcoin o monete simili, il cui valore oggi è aumentato di oltre il 350% in un anno. Il 5 dicembre, un bitcoin valeva 11.382 dollari.
Andrés Guevara, esperto di finanza dell’università locale Iesa, esprime i suoi dubbi sul petro come moneta nazionale. «Le criptomonete attuali non dipendono da nessuna banca centrale e funzionano con assoluta convertibilità. L’annuncio del presidente Maduro non ha le basi necessarie per dire in che direzione andrà il petro e come funzionerà», avverte.
Anche l’economista dell’università spagnola Esade, Jesús Palau, consultato da Bbc Mundo, è scettico: «Teoricamente il petro sarebbe garantito dalle materie prime del Venezuela. Ma credo che tali materie prime ormai siano a disposizione di altri creditori dello Stato. L’unico modo per cui il Paese possa ricevere denaro, data la sua situazione attuale, sarebbe assicurare un trattamento privilegiato… ossia convincere che gli unici che potranno riscuotere in oro o petrolio siano i possessori di questa nuova criptomoneta».
Ma il suo collega di Cambridge Garrick Hileman, pensa che il petro possa diventare «una moneta affidabile», a patto che lo Stato dià priorità alla trasparenza. In particolare, circa il luogo fisico di deposito dei depositi di garanzia (petrolio, gas, oro e diamanti). Se il Venezuela designerà un custode indipendente che garantisca che tali valori giungano ai creditori in caso di insolvenza, il petro potrebbe servire allo scopo.
Tra i vantaggi inerenti a una moneta virtuale c’è quella dell’anonimato, che in realtà è un’arma a doppio taglio. Da una parte dovrebbe poter assicurare l’aggiramento del blocco economico Usa e attirare nuovi investitori internazionali e nazionali (per via della popolarità delle criptomonete in Venezuela). I clienti locali abituati al bitcoin potrebbero migrare al petro. Dall’altra, però, l’anonimato potrebbe attirare clienti del mercato criminale. Un’altra “virtù” del nuovo sistema potrebbe essere quella di “coprire” il default nei mercati tradizionali.
Il maggior pericolo appare quello della crisi bancaria. «Se la banca centrale (che amministrerà il petro) offrisse ai privati gli stessi servizi delle banche commerciali – avverte Hileman – nei momenti di panico, la gente preferirà svuotare i conti bancari commerciali e mettere i risparmi nella banca centrale (il che farebbe fallire le banche private). Un’opzione impossibile con il regime attuale».
Ma il maggiore ostacolo che il petro dovrà saltare è la scarsa fiducia nelle istituzioni statali che lo gestiranno. Andrés Guevara è di questo avviso. «Conoscendo la tendenza del governo di non garantire il libero scambio del bolívar, si può dedurre che non lo garantirà neppure con una criptomoneta». E anche per il suo utilizzo come mezzo di ristrutturazione del debito dello Stato, la strada è in salita: «Se si volesse pagare in petro, prima occorrerà riunire i creditori e presentar loro un piano di pagamenti. Non è facile, perché per farlo, i possessori di buoni dello Stato dovrebbero avere fiducia nella nuova moneta e, inoltre, occorrerebbe espletare una serie di formalità e possede i requisiti per cambiare il modello di pagamento», spiega l’economista.