Venezuela, la crisi infinita
Ancora non si intravvede una svolta nella complessa crisi politica venezuelana. Anzi, la settimana scorsa ha messo in evidenza quanto si sia lontani dall’intravvedere una via d’uscita. Il chavismo, condotto dal presidente Nicolas Maduro, è tornato a giocare una delle sue carte preferite: ottenere una qualche parvenza di legittimità dalla quale poi negoziare nuovi sconti al suo autoritarismo, che ormai anche alleati come l’attuale governo argentino hanno smesso di negare.
La settimana scorsa, ad esempio, il chavismo ha cercato di impadronirsi della presidenza dell’Asamblea Nacional, il parlamento unicamerale dove invece la maggioranza dei 167 deputati appartiene all’opposizione. Bisognava rinnovare l’incarico esercitato dall’oppositore Juan Guaidó, tra l’altro autonominatosi un anno fa presidente della Repubblica ad interim. Con la complicità delle forze dell’ordine, che hanno impedito l’accesso ai parlamentari che appoggiano Guaidó, si è autoproclamato presidente Luis Parra, sostenuto da un gruppo di oppositori in dissidenza e dal gruppo parlamentare del chavismo. Nessuno ha verificato il quorum richiesto per la sessione (84 presenti), nessuno ha contato i voti, nessuno ha redatto un verbale della riunione, ma si è preteso di imporre comunque la legittimità dell’elezione.
Vista l’impossibilità di accedere all’aula legislativa, l’opposizione si è riunita presso la vicina sede di un giornale e 100 deputati, di cui si è verificata la presenza e il voto, hanno invece riconfermato Guaidó quale presidente del Parlamento. Il regime sta cercando di trasformare la messa in scena in un dialogo con un’opposizione dissidente, con la quale negoziare una patente di legittimità che il governo non possiede. A tale scopo, sono stati liberati alcuni prigionieri politici. Praticamente, solo la Russia ha riconosciuto il nuovo presidente del sistema legislativo.
Appare chiaro che il tempo non gioca a favore dell’opposizione che, in realtà, perde colpi, ed è incapace di offrire un’alternativa di governo che riesca a coagulare i venezuelani e che non si limiti a una semplice opposizione ai metodi brutali usati dal regime. Una volta superata la questione della violazione dei diritti umani e la latitanza dello stato di diritto, resta il problema di come condurre il Paese alla ripresa. E su questo piano non appaiono proposte convincenti da parte dell’opposizione, come d’altronde non le ha il governo.
L’inflazione è ormai fuori controllo, nell’ordine del 13 mila per cento l’anno (proprio così, 13 mila per cento). Dal 2014 il Pil è diminuito del 65%. Lo scorso anno le esportazioni sono calate del 25% e quelle del petrolio sono diminuite del 32%. La divisa perde ormai sempre più colpi ed il problema è ormai questo: che tipo di cambio utilizzare, quello ufficiale o quello del mercato nero? Pertanto, il governo sta studiando la possibilità di pagare i suoi debiti con petrolio valutato in dollari. Ma c’è un problema supplementare: il greggio del Venezuela è di qualità molto inferiore agli standard normali e ha perciò bisogno di un elevato livello di raffinazione. Pertanto non è semplice venderlo in un mercato peraltro saturo.
Ma lo scoglio più importante resta quello politico, per l’incompatibilità tra progetti politici che si considerano antonimici dal punto di vista ideologico e non appaiono capaci di stabilire un accordo su alcuni minimi denominatori comuni. E ciò anche in presenza delle inenarrabili sofferenze di un popolo al quale manca ormai di tutto. L’episcopato, che ha criticato senza mezzi termini il regime chavista, fa appello a una nuova leadership politica e sociale capace di farsi guida di un futuro degno. Ma è proprio quella che ancora non ha fatto la sua apparizione nel Paese.