Venezuela in bilico

La situazione nel Paese che per 15 anni è stato guidato da Hugo Chavez e che è preso nella morsa di una crisi economica e politica da cui non si riesce ad uscire. Il muro contro muro tra il presidente Maduro e l’opposizione

Difficile trovare una città più paradossale della capitale del Venezuela: nelle anguste vallate di Caracas, trovano sistemazione sia grattacieli che barrio. Chavez aveva favorito i più poveri. La stilizzazione dei suoi occhi “osserva” ogni gesto, ogni atto (e forse ogni pensiero) degli abitanti. Le manifestazioni dell’opposizione si susseguono, accompagnate dallo stillicidio di morti, feriti e arrestati. Il governo inventa sempre nuovi escamotage per differire la risposta alle domande della popolazione, riassunte in fondo nella lettera che il card. Pietro Parolin, già nunzio in Venezuela, ha indirizzato nel dicembre scorso al presidente Maduro, con le condizioni per avviare il dialogo con l’opposizione: fine dell’illegalità del Parlamento; elezioni e calendario elettorale; liberazione dei prigionieri politici; corridoio umanitario. Il peggio non sembra ancora arrivato, e si spera che non lo si conosca mai, perché l’esercito non interviene. Il ministro della Difesa Padrino López aveva detto già in aprile: «Non toccheremo i manifestanti nemmeno con un petalo di fiore». In compenso intervengono i pericolosi “collettivi paramilitari”, bande filo-governative. Sta prevalendo la chiusura, anche nell’opposizione.

Per capire la situazione, interrogo sia l’opposizione che i chavisti. Comincio dalla Mud, il tavolo dell’opposizione, la Mesa de la Unidad Democrática, cioè un raggruppamento di una sessantina di sigle, conta attualmente 112 deputati su 187. Ramón Guillermo Aveledo ne è stato segretario generale e ne è ancora uno dei leader. «La condizione di salute del nostro Paese è gravissima – mi spiega –. Solo il Sudan ha un’inflazione più alta della nostra, oltre il 600%. C’è scarsità di pane, la gente s’industria comprando e rivendendo qualsiasi tipo di merce. Siamo giunti qui per via del progetto chavista di economia pianificata, basata sul petrolio.

Nel 1998 il 51% delle esportazioni venivano dall’oro nero e il 49 da altri prodotti. Oggi siamo al 96 e al 4%: la distruzione del settore privato è stata quasi totale. Il conflitto è esploso per motivi economici e per la mancata metabolizzazione da parte dei chavisti della distinzione democratica tra i tre poteri. È stata messa la museruola al Parlamento e la giustizia è stata asservita all’esecutivo». Soluzioni possibili? «Qualcuno invoca la discesa in campo dei militari, che finora sono rimasti calmi nelle caserme. Ma se le cose andranno avanti così, non è detto che non assisteremo a un colpo di Stato».

Sempre dell’opposizione, incontro un giovane deputato, Juan Requesens, ferito nel corso delle manifestazioni anti-Maduro il 2 aprile scorso. «Il governo attuale pensa di avere lo stesso seguito popolare di Chavez, ma si sbaglia perché i sondaggi parlano  di un 80% di opinioni sfavorevoli.

La governabilità appare impossibile, anche perché la gente ha visto gli abusi della polizia e delle milizie e vede soprattutto le code ai negozi e soffre di insicurezza. L’opposizione ha capito che deve restare in prima linea e rimanere unita. Il governo non ha colto l’opportunità di dialogo che era stata offerta dall’opposizione».

Come fotografa la situazione? «Tanta gente riesce a mangiare solo due volte al giorno, il 70% delle cure mediche non può essere praticato negli ospedali, le scuole funzionano male, siamo al blocco». Qual è la strategia dell’opposizione? «Le continue manifestazioni costringono il governo sulla difensiva. Ormai è una dittatura». La Chiesa cattolica vi appoggia… «Sì, è dalla nostra parte. Anche il governo sa che non può attaccarla senza perdere in popolarità».

Walter Boza è un tipico intellettuale di sinistra. È psichiatra, era amico di Basaglia, Vattimo, Cavani, Pasolini. È chavista della prima ora. Lo incontro assieme a Isabel Rocio, chavista pura e dura: «Il chavismo è in crisi ma non è morto, e l’opposizione non rappresenta che una parte del Paese.

Chavez non può essere valutato solo paragonandolo a Fidel Castro, ma anche a Peron. Ha fatto molti errori, ma era uomo democratico. Ha sbagliato a espropriare le aziende private e ha concesso troppa influenza ai cubani». Cosa ha lasciato di buono? «Soprattutto la politica di inclusione sociale e il disegno di un’America Latina sganciata dai grandi poteri. Positive sono state le innovazioni in campo educativo, sanitario e ambientale». Cosa ha fatto questo governo per la sicurezza? «Poco o nulla. Però vorrei dire che il problema principale del Paese è spirituale: non siamo più capaci di perdono e riconciliazione, di incontro e tolleranza». Purtroppo il patto costituzionale è stato rotto da Maduro… «La sentenza della Corte costituzionale, che esautora definitivamente il Parlamento, è ambigua. E il sistema giudiziario e quello legislativo come possono essere appendici dell’esecutivo?». Ma non siete con l’opposizione di destra… «No, per carità! Il governo non è poi così repressivo, Maduro non è un dittatore come l’opposizione fa intendere. È solo uno stupido! Chavez era un leader, Maduro no». Che vie d’uscita ci sono? «Tre: rinuncia di Maduro, altamente improbabile; colpo di Stato militare, possibile ma a beneficiarne non sarebbe il popolo; via elettorale, auspicabile». Aggiunge Isabel Rocio: «Siamo chavisti-bolivariani-cristiani, non siamo solidali con la destra, i valori sono troppo diversi. Siamo per il popolo, per i poveri, per l’inclusione sociale. Serve una transizione, bisogna che ci si accordi tra governo e opposizione. Siamo noi chavisti- cattolici a dover guidare questo processo».

Se il presidente Maduro continua a cercare vie di uscita che non fanno altro che spostare in avanti il redde rationem, lo spirito nazionale dovrà trovare una soluzione originale per evitare che troppo sangue sia sparso. L’autorevole e seguitissima Chiesa venezuelana, sempre attenta a non rompere il filo che lega governo e opposizione, con numerose lettere e documenti ha tuttavia preso una posizione ormai chiara per la separazione dei poteri, per il ritorno alla legittimità costituzionale, per le elezioni, per la liberazione dei prigionieri, per un dialogo reale. Ma senza risultati apparenti. Oggi la fine del tunnel è impossibile da scorgere tra i fumi dei lacrimogeni.

 

Da piazza Altavista a piazza Venezuela. C’è una Caracas Ovest e una Caracas Est. La prima è quella del centro storico, culturale e finanziario (o almeno di quel che ne resta) che è in mano ai chavisti. Nel centro della città c’è la casa natale di Bolívar, colui che ha ridato orgoglio ai nativi sudamericani. E c’è pure un elegante mausoleo che custodisce le sue spoglie. È una signorile costruzione bianca e nera che rappresenta un’onda gigante, quella dell’orgoglio latino-americano generato da Bolívar. Nella seconda Caracas, invece, l’opposizione ha il suo luogo di espressione. Più residenziale  e  benestante del centro storico, soffre tuttavia del male endemico del Venezuela, cioè la delinquenza di strada. È tra le piazze Altavista e Venezuela che la contestazione anti- maduriana ha trovato il suo spazio di espressione, con lo sfilare di centinaia di migliaia di persone, che si riuniscono alle 8 di mattina in piazza Altavista per sfilare in corteo verso piazza Venezuela.

 

Barrio Junquito. La rivoluzione bolivariana di Chavez ha permesso dal 1992 in poi di cambiare la natura dei barrio: da catapecchie di legno-paglia-cartone a modeste ma più salubri costruzioni in foratini. Di questi tempi le code per il cibo, in particolare per il pane, sono quotidiane, lunghissime, disperate.  E  spesso  non hanno risultato alcuno, visto che dopo qualche ora di attesa la merce finisce e tocca tornarsene a casa con le pive nel sacco, o impegnarsi in un’altra coda per acquistare qualcosa, qualsiasi cosa: si compra non solo per la fame, ma anche per impiegare i soldi che altrimenti perderebbero ogni giorno di valore. Corrono di continuo illazioni e false notizie politiche, economiche e anagrafiche per spaventare la gente e renderla manipolabile. Ovunque ci sono mucchi di spazzatura, dove “pescano” i più poveri dei poveri. L’insicurezza imperversa. Ci si può ritrovare sottoterra per un cellulare o per 10 dollari. Un giovane mi racconta di una rapina nella quale suo padre è stato gravemente ferito alla testa.

 

 

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