Venezuela e Colombia tornano a dialogare

Grazie alla mediazione dei presidenti dell'Ecuador e dell'Uruguay, i presidenti dei due Paesi hanno definito un documento di sette punti per affrontare la difficile situazione della zona di frontiera. Ritornano in sede i rispettivi ambasciatori
Uruguay
 

"É prevalso il dialogo e il buon senso". Lo hanno affermato in coro entrambi i presidenti della Colombia, Juan Manuel Santos, e del Venezuela, Nicolàs Maduro, che dopo cinque ore di riunione hanno firmato un documento di sette punti in base al quale tornano alla normalità le relazioni diplomatiche, col ritorno in sede dei rispettivi ambasciatori, e si stabiliscono parametri per affrontare i problemi della frontiera comune e portarla alla normalità. 

 

La riunione si è svolta a Quito, la capitale dell'Ecuador, convocata dal presidente ecuadoriano Rafael Correa, in qualità di presidente di turno della Comunità degli stati latinoamericani e dei Caraibi (Celac) e dal suo omologo uruguaiano, Tabarè Vazquez, a sua volta presidente di turno della Unione delle nazioni dell'America del Sud (Unasur). La mediazione dei rappresentanti di questi organismi di integrazione regionale è stata un fattore chiave per riportare i rapporti tra i due Paesi all'altro del dialogo e della cooperazione. Ed anche un segno di buoni riflessi della comunità latinoamericana.  

 

Un mese fa, l'azione di gruppi criminali colombiani nella zona di frontiera ha provocato la reazione delle autorità venezuelane che hanno chiuso i passi di frontiera lungo 200 km della estesa frontiera tra i due Paesi, ed hanno dichiarato lo "stato d'eccezione" in una ventina di cittadine della regione. La misura più dura è stata la deportazione di circa 1.500 migranti illegali  colombiani, provocando l'improvviso ritorno in patria di altri 12.000 persone che temevano di correre la stessa sorte, ed una imprevista situazione di emergenza dal lato colombiano. La grande maggioranza dei migranti non ha avuto tempo nemmeno di raccogliere le proprie cose. 

 

Nelle scorse settimane, l'escalation verbale del presidente Maduro è arrivata al punto di accusare Santos di non affrontare il problema delle bande armate alla frontiera e, addirittura, di connivenza con piani di destabilizzazione del suo governo. Va detto comunque, che le accuse non si sono trasformate in atteggiamenti di discriminazione nei confronti dei 5,6 milioni di colombiani, che da anni vivono perfettamente inseriti in Venezuela.

 

"Noi riconosciamo il diritto del Venezuela ad agire contro le bande armate provenienti dalla Colombia – ha dichiarato senza indugi il presidente Santos -, così come riconosciamo il diritto a dichiarare lo stato d'eccezione ed anche quello di deportare gli illegali, soprattutto quelli collusi col contrabbando. Chiediamo solo che ciò avvenga nel rispetto dei diritti fondamentali di queste persone e seguendo il necessario protocollo diplomatico". 

 

Sette i punti fissati durante la lunga riunione: l'immediato rientro in sede dei rispettivi ambasciatori; una indagine per verificare la situazione della regione di frontiera; una riunione bilaterale – questo mercoledì – dei ministri delle aree interessate per affrontare i problemi della zona; il progressivo ritorno alla normalità della frontiera; il riconoscimento della coesistenza di due sistemi politici, economici e sociali; un appello allo spirito di fraternità e di unità per propiziare un clima di rispetto e di tolleranza; continuare a lavorare insieme ai due Paesi mediatori, Ecuador e Uruguay. 

 

Un incontro che non è finito con i tradizionali abbracci e strette di mano. Sono state usate parole forti e, ligio alle formalità diplomatiche, il presidente Santos non poteva trascurare la difficile situazione di circa 15.000 colombiani deportati e la facilità con la quale è stato oggetto di gravi accuse da parte di Maduro. Ciò nonostante, pare si sia riusciti a superare il momento peggiore della crisi e, soprattutto, si è tornati alla via diplomatica e del dialogo. Quella che non va mai abbandonata. 

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