Venezuela: comincia il dialogo?
Quando, lunedì, il nunzio vaticano in Argentina e rappresentante pontificio per il dialogo in Venezuela, mons. Emil Paul Tscherrig, ha annunciato: «Il dialogo nazionale è iniziato», nel mondo intero si sono ripetute manifestazioni di soddisfazione.
In Venezuela è invece aumentata esponenzialmente la preoccupazione. L’udienza privata del presidente Nicolás Maduro con papa Francesco, avvenuta praticamente in contemporanea con l’annuncio, pareva suggellarlo, ma il risultato di questa ronda di incontri dell’emissario vaticano ‒ con le parti in causa mai nella stessa sala ‒ ovvero, quello che parrebbe il primo passo verso la pace sociale ‒ l’inizio dei colloqui bilaterali, il 30 ottobre nell’isola Margarita ‒, è stato immediatamente sconfessato dall’opposizione, che ha mantenuto le misure di lotta annunciate.
Il solo presidente del tavolo di Unità democratica (Mud, in spagnolo) ‒ che può decidere solo per consenso interno ‒ Chuo Torrealba, era presente all’accordo, e i vari Henrique Capriles, María Corina Machado, Henry Ramos Allup e l’incarcerato Leopoldo López hanno ribadito la totale assenza di condizioni e di garanzie per il dialogo.
L’irruzione chavista in Parlamento durante la sessione in cui si sarebbe discusso un simbolico giudizio politico a Maduro (che non avrebbe effetti giuridici) è stato l’ultimo eclatante abuso governativo, seguito alla sospensione della raccolta di firme per il referendum revocatorio del mandato presidenziale e al mantenimento di numerosi prigionieri politici.
Tutto ciò configura uno scenario che il Mud ha definito «colpo di Stato da parte del governo».
Due giorni dopo i seguaci del chavismo e dell’antichavismo hanno “duellato” a distanza, nelle piazze della capitale e di altre città.
Alla “presa di Caracas”ha risposto una più timida concentrazione progovernativa.
La gente chiedeva alla coalizione oppositrice di “marciare su Miraflores” (il palazzo di governo) mentre i leader chiamavano alla calma. Un morto e quattro feriti (e 140 arresti)sono un bilancio triste ma che poteva essere ancor più negativo.
Maduro ha convocato e dichiarato in sessione permanente il Consiglio di difesa della nazione, organismo di emergenza che raduna i presidenti dei cinque poteri pubblici dello Stato (esecutivo, legislativo, giudiziario, elettorale e morale). Assente, l’unico tra questi leaders che rappresenta l’opposizione: il presidente dell’Assemblea nazionale (Parlamento) Henry Ramos Allup.
La foto con il papa e con il delegato pontificio sono stati una vittoria per il presidente della Repubblica, che ne ha approfittato per dichiararsi “un presidente dialogante” («Convoco al dialogo sociale e politico in Venezuela con tutta la forza della mia anima. Dialogo e ancora dialogo. Pace, pace, pace» ha detto ai microfoni).
Dall’altro lato della barricata, Ramos Allup ha sottolineato che, in un “eventuale” dialogo, il Mud non avrebbe «nulla da dare e tutto da chiedere» ‒ affermazione che potrebbe apparire arrogante, ma che si spiega con le esigenze delblocco oppositore: ristabilimento della democrazia, presa in ostaggio da un esecutivo che ha dichiarato illegittimo ogni atto ulteriore del legislativo, considerato fuori dall’ordine costituzionale e dal quale prescinde totalmente, e i menzionati requisiti riguardanti referendum, prigionieri politici edesiliati, nonché azioni per palliare l’irreperibilità di alimenti e medicine.
Il nodo principale è il referendum revocatorio del mandato presidenziale, uno scoglio che lo stesso Hugo Chávez aveva superato a suo tempo ma che è improbabile che sia oltrepassato dal suo successore.
Maduro, che si è detto disposto alla sfida ‒ che peraltro non necessita della sua venia ‒ sta cercando con ogni mezzo di posporla a gennaio, poiché allora saranno trascorsi quattro anni di un periodo digoverno di sei, punto nel quale la Costituzione prevede che il vicepresidente concluda ilmandato, anziché la convocazione di elezioni. Il chavismo vuole guadagnare tempo e la possibilità di rimanere al potere fino al 2019.
Per farlo, ha denunciato una frode nella raccolta di firme per richiedere il referendum. Circa 300 firme apparterrebbero a persone decedute, anche se si è già ampiamente superato la quantità (1%) necessaria, come ha affermato il costituzionalista José V. Harosenza accusare smentite. Tali possibili irregolarità sono state denunciate da tribunali statali (governati dal chavismo) e non federali, come prevede la legge elettorale.
Nei prossimi giorni, oltre a un delicato “sciopero cittadino”, la vera deadline sarà il 3 novembre, data dell’ultimatum del Mud. Se per quella data Maduro non avrà sbloccato il cammino per il referendum o non avrà indetto elezioni generali prima della fine dell’anno, l’opposizione marcerà davvero, questa volta, su Miraflores. Ed allora, solo Dio sa le conseguenze di una battaglia campale tra esercito e forze dell’ordine da una parte e una gran massa cittadina dall’altra.