Quando a Venezia si faceva la quarantena nei lazzaretti
La quarantena, intesa come l’isolamento a cui viene sottoposta una persona che ha – o potrebbe avere – una malattia contagiosa, è una pratica molto diffusa sin dall’antichità. Si pensa, però, che la prima città ad aver organizzato dei luoghi isolati ed organizzati, in cui trascorrere la quarantena, sia stata Venezia, nel 1403.
A quei tempi a far paura erano la peste e la lebbra e i veneziani destinarono due isole – Lazzaretto Vecchio e Lazzaretto Nuovo – al confinamento delle persone malate e delle merci a rischio. A queste si aggiunse, in seguito, anche l’isola di San Lazzaro.
“Nel 1468 – spiega Gerolamo Fazzini dell’Archeoclub d’Italia, sede di Venezia – un decreto del Senato della Serenissima istituisce sull’isola un Lazzaretto con compiti di prevenzione dei contagi, detto “Novo” per distinguerlo dall’altro già esistente vicino al Lido (detto “Vecchio”), dove invece erano ricoverati i casi manifesti di peste. L’isola divenne luogo di “contumacia”: qui fu messa a sistema la “quarantena“ per le navi che arrivavano dai vari porti del Mediterraneo sospette di essere portatrici del morbo. Per rendere efficiente la struttura sanitaria furono costruiti molti edifici fra cui grandi tettoie (“teze”) per l’espurgo delle merci. Con queste isole siamo dinanzi ai primi lazzaretti stabili della storia. La quarantena, che tutto il pianeta ha conosciuto a causa della pandemia da coronavirus, è stata messa a sistema dalla Repubblica di Venezia mezzo millennio fa per combattere la peste, tramite due isole che oggi sono oggetto di un importante progetto di destinazione museale”.
Quando non sai come curare una malattia contagiosa, aggiunge Fazzini, cominci ad isolare gli ammalati. “Per secoli – afferma – la peste è stata la principale causa di distruzione di popolazioni e città, assieme a guerre e carestie. Porto di traffici a cerniera fra Oriente e Occidente, nel XV secolo Venezia ne intuì la dinamica di contagio, andando contro pregiudizi e leggende del tempo, e compiendo uno scatto in avanti degno di una capitale all’avanguardia. Affrontò “il morbo” con pragmatismo e lungimiranza: “la salute è l’anima del commercio” fu la lezione adriatica che la Serenissima insegnò e impose alle altre potenze dell’epoca, che collaborarono costruendo una rete di poli, norme e intelligence per venire a capo del problema epidemico”.
L’isola con cui la Repubblica di Venezia ha messo a sistema la quarantena nel XV secolo, continua Fazzini, è oggi un ecomuseo didattico e di ricerca in cui affrontare le sfide del futuro raccontando la città, la storia e l’ambiente veneziano, così legati all’acqua e paradigmatici di un’epoca segnata dai cambiamenti climatici e dalle loro molteplici conseguenze. La particolarissima dimensione paesaggistica del territorio è rappresentata da “Il Sentiero delle Barene”, percorso naturalistico dell’isola dedicato all’ambiente più significativo della Laguna di Venezia (le barene sono i terreni tipici lagunari), cartina di tornasole del rapporto fra uomo e natura. Nell’ultimo secolo è scomparso il 70% delle barene originarie ed è triplicata la profondità media delle acque con forti ripercussioni ecologiche, ma anche economiche, affettive e identitarie per gli abitanti.
L’obiettivo per il futuro, comunque, è di “portare le isole dei Lazzaretti ad essere una delle sedi del Decimo Forum Mondiale dell’Acqua, che si svolgerà nel 2024. Archeoclub d’Italia – spiega il presidente Rosario Santanastasio – è parte integrante del Comitato Promotore “Italy Water Forum” presieduto dal geologo Endro Martini e dunque sostiene ampiamente la candidatura dell’Italia che è stata già depositata al Consiglio Mondiale dell’Acqua che ha sede a Marsiglia. La speranza è di vincere ed avere i Lazzaretti Veneziani come parte integrante del Forum. Un Forum innovativo che vedrebbe la presenza anche di tutti i Rappresentanti delle Religioni e delle Nazioni”.