Venezia, bilancio a metà rassegna

Film cupi e storie estreme impazzano in laguna, ma pure si intravede qualche spiraglio di speranza. Interessanti le pellicole italiane presentate, da "Piccola patria" di Alessandro Rossetto a "La mia classe" di Daniele Gaglianone. Assegnato il Premio Bresson al regista Amos Gitai
Amos Gitai al Festival del cinema di Venezia

Se ne sono dette tante su questo festival lagunare, numero 70, a cominciare dalla “rivalità” con Toronto, che è iniziato il primo e durerà sino al 15, di fatto sottraendo alla nostra città film e star.

A Venezia di star pochine. Il semprevivo  Clooney, la grande Judi Dench e l’abbronzata Sandra Bullock, il divo Nicholas Cage oltre al maghetto ex Harry Potter, inseguito fino al bagno dalle ragazzine urlanti (una scena esilarante…). E i film?

C'era stato detto a fine luglio che sarebbe comparso un teatro del male nel mondo, senza alcuna speranza. Promessa mantenuta, ma per fortuna non del tutto.

S’è visto di tutto: gerontofilia, pornografia, incesto, necrofilia, violenza fino all’insulto per gli spettatori in Child of God del talentuoso James Franco, che filma una “defecazione”… Lui, regista, attore, scrittore, poeta e altro ancora, che non dorme mai, dice di essere attratto dalle storie estreme… Di storie estreme Venezia ne ha presentate diverse: Miss Violence del giovane greco Alexandros Avranas, narra di incesti in casa in un film tremendo, perché senza alcuna via d’uscita. Sarà il ritratto della Grecia attuale, disperata, o il riemergere delle saghe degli Atridi nel mito classico? Una porta chiusa all’inizio e alla fine di un film il cui punto di partenza è il suicidio di una ragazzina undicenne il giorno del compleanno dice tutto sul male che è la famiglia. Nessuna speranza. L’Occidente vaga nel buio e al dolore non c’è risposta: manca la luce.

Eppure, una timida fiammella si potrebbe intravedere. Il ragazzino del film cupo di Emma Dante, che piange al cielo per la morte dell'anziana Safira; il rimorso, la paura, il senso della colpa nei fragili giovani di Night Moves, il senso della paternità nel western contemporaneo Joe; il dolore per le ingiustizie sociali nel bel film di Costanza Quatriglio (Con il fiato sospeso), la cronaca dolorosa – dal di dentro dei personaggi – dell’omicidio di Kennedy in Parkland.

Su tutti volano, è il caso di dirlo – finora – La moglie del poliziotto di Groning, 58 frammenti di una crisi di coppia vista dall’intimo dell’anima, il tema del perdono cristiano nel drammatico Philomena di Stephen Frears. Lascia sospesi molti spettatori The Zero Teorem di Terry Gilliam, favola visionaria e metaforica di un uomo condannato e condizionato dalla vita computerizzata all’infelicità a cui osa ribellarsi. Densissimo di simboli, barocco nelle scene, enfatico, pure il film che fa discutere è una riflessione, per quanto troppo ricca di segnali, sulla libertà dell’uomo moderno dalla macchina: è possibile?

Lasciamo stare alcuni film  di contorno, come Giovani Ribelli con l’ex Henry Potter – che è pur bravo attore in un film didascalico –, come Tom à la ferme, storiella più o meno gay in una fattoria, o Paolo Alto di Gia Coppola, tratto dai racconti di James Franco, per fermarsi sul poetico di animazione The Wind Rises di Miyazaki, da rivedere certamente, e su alcuni film italiani, tutt’altro che cattivi.

Ci riferiamo a Piccola Patria di Alessandro Rossetto – un Nordest disperato e dolente –, a L’Arbitro di Paolo Zucca – grottesca metafora sull’Italia di oggi e di ieri –, La mia classe di Daniele Gaglianone con un ottimo Valerio Mastandrea, e su Zoran, il mio nipote scemo ancora sul Nordest di Matteo Oleotto. Film di piccole anime, non capolavori, ma sguardi reali e agrodolci sulla nostra Italia, ben fatti e ben recitati.

In un festival poco popolato, si è in attesa di altri film. Dall’italiano L’intrepido di Gianni Amelio, a Moebius di  Kim-Ki-duk (anche qui incesti, eccetera), da Une promesse di Patrice Leconte a La jalousie di Philippe Garrel dove recita il figlio Louis, fino al documentario di Marco Spagnoli Anna Magnani a Hollywood… Già, perché Venezia quest’anno sta presentando parecchi – alcuni assai interessanti – documentari.

Qualche premio infine è già arrivato, cioè il Premio Bresson al regista Amos Gitai (nella foto) – un suo film è in concorso (Ana Arabia) – datogli  ieri dall’Ente dello spettacolo dal suo nuovo presidente Ivan Maffeis e dal vescovo Celli.

Siamo in attesa di altri titoli che facciano volare più in alto il festival. Osiamo sperare  in un premio: la Coppa Volpi come miglior attrice alla splendida ottantenne – fiera delle sue rughe, nessun ritocco – Judi Dench.

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