Venezia apre con la storia
Passato e presente storico. Se Venezia omaggia con il Leone d’oro alla carriera l’appassionata Vanessa Redgrave che denuncia le colpe dell’Europa verso i migranti, apre la sezione Orizzonti con la vicenda tremenda e irrisolta di Stefano Cucchi con Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, accolto da 7 minuti di appalusi. La performance di un rinnovato Alessandro Borghi ha buttato in faccia a noi tutti un mistero inquietante che non si è ancora capaci di svelare del tutto. È un film duro, gelido, che però non mostra sangue e orrori, distaccandosi dalla mania attuale dell’orrido, ma nei silenzi, nei dialoghi tra i due attori – perfetta Jasmine Trinca nei panni della sorella Ilaria – appare da una parte il calvario di Stefano, un tossico che vorrebbe uscire dal giro, e dall’altra il clima di prepotenza e omertà di funzionari dello Stato. Nessun grido alto, ma si gioca per sottrazione, ed è questo forse il merito del film: di suscitare accanto alla voglia di giustizia, il sentimento della pietà.
Si lavora per sottrazione anche in The first man, il primo uomo sulla luna, di Chazelle. Se l’anno scorso il giovane regista canadese aveva reinventato il musical con La la land, ora reinventa l’epos americano giocando più sugli interni che sugli esterni. Ossia, più sull’uomo Armstrong, chiuso, solitario, provato dalla morte della figlia, che sulle visioni dell’allunaggio e sulla retorica trionfalistica. Ryan Gosling ha il merito di una maschera facciale tesa e malinconica, non eccede, stretto com’è nello spazio ingrato della navicella. Il film raggiunge la giusta temperatura drammatica raccontando la famiglia dell’astronauta, i suoi sacrifici, le fatiche, la determinazione. L’uomo che vuole una cosa riesce a farla, è forse il messaggio sotteso all’iconica, cerebrale figura di Gosling-Armstrong. Cioè, eroi non si nasce, si diventa.
Non sembri strano, ma un certo accostamento si pone dopo aver visto la sesta puntata di Mission impossible con Tom Cruise. Azione perfetta e frenetica, conquistatrice come e più di sempre. Ma l’ero Cruise appare questa volta giocare per sottrazione, non in virtuosismi atletici – fughe, duelli in elicottero… – ma quanto a carattere. Più malinconico, triste, insicuro talora, desideroso di quiete. Forse di non essere un eroe. La storia di Cruise è al solito da action-thriller, eppure si ricollega a un certo tono meno glorioso, come nei film di cui abbiamo parlato. Che sia un’aria diversa che il cinema sta captando nel mondo?