Venezia apre il ventaglio

Ora si  è iniziato a viaggiare e il festival si presenta come una sventagliata dove il tema fondamentale sembra  essere quello del dolore
Il regista Philip Groning

Sono  i ragazzi a soffrire, prima di tutto. La coproduzione tedesca-lituana-russa Wolfskinder (ragazzi-lupo) racconta con lucida durezza e una pietas sofferta del gruppo di ragazzi e bambini in fuga dopo la Seconda guerra mondiale nelle zone fra la Prussia, la Lituania e la Russia. Una vicenda su cui si è messo il silenziatore, ma che il regista tedesco Rick Ostermann giustamente rimette sul tappeto. Il racconto è teso, lento, ed è struggente il rapporto di due fratelli che vanno in cerca di una nuova famiglia fra boschi, paludi e fiumi, ma di cui i nemici più spietati sono gli adulti. Terso e commovente.

Storia di redenzione è quella di Joe, diretta da David Gordon Green, dove l’ex detenuto, che cerca di rifarsi una vita nella provincia americana ove la mentalità del West è onnipresente, si incontra con un ragazzo dalla famiglia difficile. Lui, uomo che contiene la violenza a stento, diventa di fatto padre di questo adolescente sano e dolente il cui padre è un uomo senza cuore. Interpretato da un sofferto Nicholas Cage il film rivela il pensiero americano rivolto alla felicità della paternità, del lavoro, della famiglia, ma si scontra con la difficoltà a realizzarla. Ci vuole  una morte redentrice perché il ragazzo scopra la bellezza del vivere. Film di formazione e di redenzione, con momenti di eccessiva crudezza, mantiene un buon ritmo narrativo e resta un dramma efficace in una zona di diseredati dalla vita.

È una bambina in effetti la protagonista del lunghissimo film di Philip Groning  che in quasi 60 piccoli capitoli  succosi racconta in The police officer’s wife (La moglie del poliziotto) la lenta disgregazione di una coppia vista con gli occhi della piccola. Il film che scava come un punteruolo, ma delicato, sul quotidiano della famiglia, fra una natura incantevole e mutevole, brucia le solitudini esistenziali in un crescendo drammatico e intimo di notevole spessore morale. Nessuna chiusura chiara, nessuna risposta se non gli occhi sbarrati della piccola. La regia lascia allo spettatore la risposta risolutiva di questa tragedia dell’amore. La fotografia della natura e dei volti  è intensa e poetica, e la sofferenza e l’amore vengono espressi con una sofferta e pulita profondità. Un film di spessore, anche se difficile.

Giovani sono poi i protagonisti di The Canyons di Paul Schrader, film su di un gruppo che punta a fare un film ma che in effetti si rivela un trhiller psicologico ad alto tasso erotico, ben girato e diretto, anche se la storia non è nuova, anzi. Un intreccio di rapporti  di amore-possesso-sfruttamento getta un’ombra sull’assenza di verità nel mondo del cinema, specchio – vorrebbe essere – del disagio giovanile moderno. Modesto, storia dove eros e morte si intrecciano, e tutt’altro che applaudito dalla critica, nonostante la pubblicità scandalistica, montata ad arte, dei momenti pruriginosi.

Ora aspettiamo altri eventi.

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