Venezia: a metà del festival
Comincia l’ultima settimana ed un bilancio sembra d’obbligo in un festival che non straborda di gente, che preferisce mitigare il glamour in città più che al lido, e che presenta lavori migliori dell’edizione passata, di livello medio-alto, nonostante alcune classiche scivolate come l'inutilmente scandalistico messicano La Règion salvaje – non si capisce bene perché in concorso –, un vero pasticcio fanta-trhiller di bassa lega.
A parte questo, il festival regala emozioni tuttora e punta ad un recupero di valori – spirituali o religiosi, si direbbe – non indifferente. Dio è il presente-assente in numerosi film. Può essere oggetto di culto fanatico (Brimstone), di presenza aliena (Arrival), di necessità di pacificazione della memoria (Frantz), di desiderio di immortalità (Spira mirabilis), di ambiguità (The young pope) o di indirizzo di vita, quasi eroico.
Il film di Mel Gibson Hacksaw Ridge, epico e sanguinolento come è nello stile del regista, racconta la storia vera del primo obiettore di coscienza americano che in nome del vangelo si rifiuta di uccidere ma salva come infermiere 75 vite in guerra, sia americani che giapponesi. Una sorta di Cristo redivivo – in barella, sospeso nel vuoto, sembra un Risorto (Gibson sta per girare un film sulla Resurrezione) –, come vorrebbe essere il povero cileno in El Cristo ciego. La spiritualità dunque, o la fede, o la religione comunque, vista sotto ottiche diverse, ma presente.
Accanto ad essa, lavori che scavano nel cuore dell’uomo. Un esempio è uno dei migliori film in concorso, l’argentino El ciudadano illustre. Uno scrittore argentino riceve il Nobel della letteratura, torna al paese da dove manca da 40 anni, è ricevuto con tutti gli onori ma poi diventa vittima di un piccolo e invidioso mondo provinciale contro cui si schiera. Gelosia, fama, vulnerabilità di un uomo di successo, ma che deve fare i conti con la vita vera che non fa sconti. Miscelando dramma, riflessione, comicità il racconto scuote e fa pensare, libera chi lo vede dal sentimento dell’ipocrisia così spesso vicino a noi.
Cosa dire del cinema italiano? Piccolo piccolo, pretenzioso forse (Spira mirabilis), con opere prime leggerine come Piuma di Roan Johnson, storia di due diciottenni con figlia inattesa in arrivo tra drammi familiari, paure e amore per la vita. Spia di giovani d’oggi ingenui (lui) e decisi (lei) spaventati del futuro, ma forse più fiduciosi degli adulti. Si ride, l'aria è tenue, il dramma alleggerito al massimo nell’ennesimo film romanocentrico. L’Italia non vola, non cambia. Sono tutti bravini, ma senza slanci. Vedremo domani con Tommaso di Kim Rossi Stuart.
All’estero rischiano molto di più, anche i giovani autori, hanno un’anima più vasta, così da raccogliere il mondo frammentato eppure desideroso di valori di oggi. Non è poco, finora, nonostante la parte del leone fatta dal cinema americano.