Venezia ‘75 comincia con la luna
Venezia ‘75 comincia con la luna. Nel senso che il film d’apertura racconta il primo sbarco umano sulla polvere grigia del faccione giallo − a volte arancio – da sempre cantato dai poeti. Il giorno del piccolo passo per un uomo e il gigantesco balzo per l’umanità: quel 20 luglio del ’69, quasi onirico e davvero lontanissimo. Vetta di un tempo poi perduto, dissoltosi lentamente dopo quei piccoli saltelli.
Il film si intitola Il primo uomo ed è un bel lavoro. Il regista è Damien Chazelle, premio Oscar per La La Land (il cui viaggio verso la statuetta partì proprio da Venezia nel 2016). Il primo uomo è Neil Armstrong, ovviamente (interpretato da Ryan Gosling), ma intorno al personaggio, ai suoi sacrifici e dolori di comune umano (perse una figlia), è narrata quella voglia collettiva – oggi sbiadita – di inseguire i sogni. Come una speranza di cercare strade nuove per spallare la sofferenza, per volare oltre la bruttezza che allora come oggi ci stringe facilmente la gola. Un tempo utopico, quello, forse ingenuo, anche contraddittorio, sicuramente dinamico e ricco di energia. Un tempo febbrile, imbevuto di guerra fredda e perciò aereo e insieme brutalmente terreno. Detto della “corsa allo spazio“, con i giganti a dire ognuno di essere il più forte e il più veloce, e l’Italia, piccola e per sorte geopolitica strategica, in mezzo ad Usa e Urss a guardarsi – non troppo disinteressatamente – la tesissima partita. Poi però, lei, col suo carattere narratore e la sua voglia di sdrammatizzare, è stata capace di raccontare bene, in leggerezza, quegli anni e quei momenti. Ecco Totò, come sempre, genio in soccorso per la ricostruzione del costume: già nel 1958 danza in Totò nella Luna di Steno, dove suo malgrado, per totale equivoco, viene spedito sulla Luna. Nessun problema, indistruttibile qual è Totò sbeffeggia tutto e tutti: Cape Canaveral, da dove le missioni partono, diventa per lui “Capo Cadavere”, e la forza di gravità si trasforma in “forza di gravidanza”. Sente un botto e in due parole sintetizza il clima dell’epoca: «Aiuto, hanno sparato l’atomica, la bomba a idrogeno: la guerra fredda è diventata calda, sono ricominciate le ostilità». Quando un bimbo offre entusiasticamente la sua spiegazione allo scoppio: «È un razzo per la luna, che bello, evviva la luna!», Totò replica secco: «Io dei satelliti, dello spazio, della luna, me ne infischio!». Alla fine, quando poveretto metterà piede sul suolo lunare, commenterà deluso: «Io in questa stagione me ne volevo andare a Capri..».
Anche in altri film italiani (più importanti) dei primi anni ’60 spunta la febbre spaziale: in Divorzio all’italiana di Pietro Germi, del 1961, il barone Cefalù (Marcello Mastroianni) legge sul giornale del volo di Gagarin nello spazio, e immagina di spedirci anche sua moglie, con la quale vorrebbe chiudere ogni rapporto. Dentro Il sorpasso di Dino Risi, del 1962, il personaggio di Bruno Cortona (Gassman) spiega al compagno di viaggio Roberto (Trintignant) che ormai bisognerebbe studiare “diritto spaziale”, perché è oltre la terra che si giocano partite interessanti: «Due astronavi si scontrano, di chi è la colpa? I terreni sulla luna si possono lottizzare?».
Un bel riassunto di quella stagione lo regalerà più tardi Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli – riflessione a freddo con toni da commedia all’italiana sulla guerra fredda vista dall’Italia, ma ci sono anche Franco e Ciccio, in tempo reale, a raccontare l’epoca – inquieta e frizzante – di sete spaziale. Demenziali e geniali come sempre, con 002 – Operazione Luna (Lucio Fulci, 1965) piazzano lì tre o quattro sequenze cult sul sogno umano (allora quasi realtà) di arrivare lassù. Li vediamo serrati dentro un razzo e dal finestrino vedono la cagnolina Laika (primo essere vivente spedito dai russi nello spazio) galleggiare tra le stelle. Mangiano cibo spaziale e scambiano la Luna per l’autostrada del sole: qualche risata con comicità di grana grossa, ma anche documenti chiarissimi del tempo che fu.
E la notte del 20 luglio del ’69? Quella della prima maratona televisiva italiana della Storia? Quella di 28 ore con Tito Stagno e Andrea Barbato dall’Italia e Ruggero Orlando dal Centro spaziale della Nasa di Houston a raccontare lo sbarco? Il cinema italiano non ha mancato di raccontarla: la lunga diretta tra L’Italia e L’America entra nel film (non certo un capolavoro) Il Domestico di Luigi Filippo D’Amico, del 1974, e in Ardena di Luca Barbareschi, del 1996. Nel primo una spaghettata di gruppo accompagna l’evento; nel secondo una comitiva di persone segue all’aperto il racconto sul piccolo schermo. Frammenti, sequenze, elementi per una ricostruzione attraverso il cinema di quella notte in cui tutti si fermarono per un momento di euforia collettiva: una parentesi di leggerezza prima che la strage di Piazza Fontana – 12 dicembre 1969 – facesse tornare tutti coi piedi per terra, tragicamente e tristemente, e prima che Venezia ’75, quasi mezzo secolo dopo, tornasse sull’argomento.