Veneto, non passa la legge sul fine vita
Se, come da più parti si dice, l’Italia è un Paese diviso a metà sul fine vita, il voto del Consiglio regionale del Veneto su un progetto di legge volto a normare l’iter di accesso al suicidio medicalmente assistito a cui ha aperto la strada una sentenza della Corte Costituzionale non poteva dirlo meglio: su 50 membri del Consiglio, sono stati infatti 25 a votare a favore dei primi due articoli, dopodiché il testo è stato rimandato in Commissione (dove già si sa che non verrà ripreso in mano, almeno non in questa legislatura che ormai volge al termine). Per l’approvazione ne sarebbero serviti 26, visto che è richiesta la maggioranza assoluta. Dei restanti 25, 22 hanno votato contro e 3 si sono astenuti, in quella che è di fatto una bocciatura del provvedimento.
Per capire meglio la valenza di questo voto bisogna fare un passo indietro. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 242 del 2019, ha indicato quali sono le condizioni per accedere al suicidio medicalmente assistito nel nostro Paese: una patologia irreversibile; una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale; una patologia che crea sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili; una persona che sia in grado di esprimere un consenso libero e consapevole.
Manca tuttavia una legge nazionale che disciplini le modalità per accedervi; a proposito della quale è stata formulata una proposta dall’Associazione Luca Coscioni, che ha raccolto 9.062 firme, presentata in tutte le Regioni. Già in Friuli Venezia Giulia si era cercato di portare in Consiglio Regionale questa proposta, ma il tutto si era arenato con un compatto voto contrario della maggioranza; motivato dal presidente regionale Massimiliano Fedriga con un parere dell’Avvocatura dello Stato secondo cui la materia è di competenza nazionale.
Diversa invece la strada scelta dal Veneto, dove il presidente Luca Zaia ha ritenuto di applicare la norma secondo cui le leggi di iniziativa popolare vanno esaminate entro sei mesi; scelta confermata dall’Ufficio legale del Consiglio regionale, che l’ha ritenuta legittima nonostante il precedente parere dell’Avvocatura, data la perdurante assenza di una normativa nazionale.
Il Veneto si avviava così ad essere la prima Regione italiana a definire tempi e metodi di accesso al suicidio medicalmente assistito, garantito quindi dal Servizio sanitario regionale alle condizioni già previste dalla Corte Costituzionale. In aula Zaia è infatti partito dal fare «un’operazione verità dopo tante inesattezze che ho sentito: il Consiglio regionale non autorizza nulla, per il semplice fatto che il percorso sul fine vita è già stato definito dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale. […] Le mie idee sono note, le ho già messe nero su bianco, ma oggi siamo qui per veder garantito un diritto sancito come inviolabile dalla nostra democrazia: permettere ai cittadini, che hanno raccolto almeno 7 mila firme, di presentare e di veder esaminato un determinato progetto di legge».
Acceso è stato naturalmente il dibattito, in alcuni casi al di là delle appartenenze di partito: da chi, come Stefano Valdegamberi del gruppo misto, ha espresso il timore di «vedere, in poco tempo, aumentare questi numeri fino a renderli fuori controllo, e di estendere pericolosamente il perimetro di applicazione dei casi di suicidio medicalmente assistito, come già accaduto in Canada e Olanda»; a chi, come la capogruppo dem Vanessa Camani, ha sottolineato come «oggi possiamo lanciare un messaggio forte al Parlamento nazionale affinché legiferi in materia di suicidio medicalmente assistito, superando un’inerzia che noi riteniamo grave. [..] C’è una sentenza della Corte costituzionale che dice chiaramente cosa dobbiamo fare e come dobbiamo agire. La Regione ora deve chiarire i tempi e le modalità di esecuzione delle prestazioni».
Non è mancato chi, come Elisa Venturini di Forza Italia, ha affermato che «al suicidio medicalmente assistito, a una scelta così aggressiva e radicale, opto per le cure palliative e la terapia del dolore, che devono rappresentare una priorità assoluta per il nostro sistema sanitario»; e chi ancora, come il leghista Alberto Villanova, ha rilevato che «la mia esperienza professionale di medico mi ha fatto capire che, in alcuni casi, i pazienti non rispondono alle cure palliative. La medicina arriva fino a un certo punto, oltre al quale c’è la sofferenza dei pazienti. Voglio pensare che un paziente afflitto da immani sofferenze sia libero di decidere per sé stesso».
Posto che sotto il profilo etico non c’è stato nulla di nuovo, nel senso che i termini della questione sono rimasti quelli già noti, la lettura del voto è stata anche e soprattutto politica: se Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno votato no compattamente, la Lega si è spaccata esattamente a metà (il consigliere Nazzareno Gerolimetto è uscito dall’aula, e i due astenuti Luciano Sandonà e Silvia Rizzotto hanno comunque contribuito a non far raggiungere il quorum) e anche il Pd ha contato un’astensione tra le sue fila (Anna Maria Bigon). A favore il resto del Centrosinistra e M5S. Si sono quindi intrecciate questioni di appartenenza politica e le convinzioni di ciascuno su un tema così delicato.
Se, come Zaia stesso ha rilevato, su questi temi è giusto e doveroso che si voti secondo coscienza e non secondo partito, è comprensibile come il fatto che lui stesso si sia fatto promotore della discussione del progetto di legge abbia avuto appunto valenza politica: quella di presentare l’immagine di una Lega disposta ad aperture sulle questioni etiche, in contrapposizione al no sempre ribadito da Salvini – e non è certo mistero che più volte in passato Zaia si sia mosso in maniera autonoma da via Bellerio, tanto da far dire scherzosamente ad alcuni che “in Veneto si segue il Doge, non il Capitano”.
Posto peraltro che l’ipotesi di una modifica alla norma sull’elezione dei presidenti di Regione per consentirgli un quarto mandato è al momento arenata, e quindi non si prospetta per lui ad oggi la possibilità di rielezione, alcuni hanno osservato come abbia potuto “tentare la prova di forza” libero (almeno sulla carta) da personali tornaconti elettorali; e se si possa dire che l’ha comunque vinta avendo trascinato con sé metà della Lega, o viceversa che l’ha persa perché alla fine il testo non è passato, è oggetto di discussione.
I consiglieri comunque, nelle loro dichiarazioni, non ne hanno fatto una questione politica: Sandonà per primo ha apertamente negato che la sua astensione abbia avuto una natura politica, ma unicamente etica, e ha anzi espresso parole di apprezzamento per come il dibattito tra favorevoli e contrari si è svolto nella Prima Commissione da lui presieduta.
Zaia, dal canto suo, ha ribadito all’Ansa che «Mi spiace che qualcuno abbia dato une lettura errata, ovvero che la legge discussa in Veneto “istituiva il fine vita”. Non istituiva niente, ma stabiliva solo i modi e i tempi delle risposte ai malati, e le modalità di coinvolgimento delle Asl. Ma nonostante non sia diventata legge, i malati terminali con determinate caratteristiche sanno che possono presentare le loro istanze per il fine vita, in base alla sentenza della Consulta».