Veltroni al primo giro di boa
“Nessuno è perfetto”, dicono i sostenitori del sindaco di Roma, pensando alla sua non celata fede calcistica juventina. Ma convengono, gli stessi – siano romanisti o laziali -, che è meglio un Veltroni bianconero piuttosto che schierato con l’altra parte della tifoseria romana. Non è un fattore secondario il calcio in una città che ne è diventata capitale negli ultimi due anni con la conquista dello scudetto da parte dei biancocelesti prima e dei giallorossi lo scorso anno. Ma a Roma le partite non si giocano solo allo stadio Olimpico. Dal centro storico alle periferie, dalla gestione del patrimonio artistico e culturale alla sicurezza dei cittadini, ogni giorno la vita metropolitana chiede di scendere in campo. Dopo il grande avvenimento del Giubileo (e i relativi interventi sulle infrastrutture della città), Roma ha bisogno che prosegua l’inderogabile processo di ammodernamento e riqualificazione, mentre resta ancora attanagliata da problemi pressanti – primo tra tutti il traffico -, che piegano il carattere gioviale degli abitanti. Il 27 maggio dello scorso anno Walter Veltroni, romano di nascita, 47 anni, viene eletto primo cittadino e si dimette dalla carica di segretario dei Democratici di sinistra. Non era però nuovo all’aula Giulio Cesare, perché già nel 1976, a 21 anni, vi sedette in qualità di consigliere. Rispetto al suo predecessore Rutelli, trova un contesto diverso: non solo il governo centrale, ma anche quelli regionale e provinciale sono appannaggio del centrodestra. Per un uomo di sinistra come Veltroni è una sfida ulteriore nella doverosa ricerca di una collaborazione, perché la capitale, proprio per la sua unicità, non può essere amministrata come fosse un’isola. Dal 753 avanti Cristo, Roma ha qualcosa di peculiare da offrire a tutti. Con l’intervista a Veltroni iniziamo un dialogo con i sindaci di alcune tra le principali città italiane. Onorevole Veltroni, Roma non è solo il più grande comune d’Italia, ma anche la capitale del paese e il centro della cattolicità. È tutto più difficile per il sindaco? “A Roma vivono due milioni e seicentomila persone, alle quali se ne aggiungono due milioni che vi lavorano. Roma è grande, come superficie, otto volte Milano ed è sede del governo del paese, di importanti istituzioni internazionali, della Santa Sede. A Roma inoltre vivono consistenti comunità nazionali e religiose. È sicuramente, dunque, una realtà complessa, in cui ogni questione comporta numeri enormi e tanti aspetti differenti tra loro. Tenere insieme tanta diversità, saper ricercare l’interesse generale in mezzo ad interessi a volte contrapposti, è sicuramente difficile e faticoso. Ma è anche una sfida entusiasmante, che permette a chi governa la città di poter far tornare ogni cosa a un’idea complessiva dello sviluppo della città e soprattutto a un’idea di “comunità” nel senso più vero e profondo della parola”. Alla luce della storia, delle caratteristiche e del timbro universale di Roma, qual è oggi, secondo lei, la vocazione della città? “Ogni città ha una sua vocazione, un ruolo da svolgere in un mondo sempre più interdipendente. La vocazione universale di Roma, cuore della cristianità, è sottolineata da due millenni di storia. Mille ragioni anti- che e recenti fanno di Roma il simbolo della solidarietà, della difesa dei diritti umani, della promozione di un pianeta più giusto e solidale. “È anche una storia attuale, a cominciare dai trattati europei firmati nel 1957 in Campidoglio per chiudere definitivamente in Europa la tragica pagina delle guerre, del nazionalismo, dell’odio razziale. È una storia che ci carica di responsabilità, come città che ospita le più importanti istituzioni internazionali – la Fao, l’Ifad, il Pam – impegnate nella ricerca di rapporti più equi e solidali tra i popoli della Terra”. Le responsabilità internazionali non rischiano di pregiudicare il governo della città? “Questa amministrazione sente su di sé il dovere di promuovere una nuova stagione di impegno civile nella lotta internazionale alla povertà, per il rispetto dei diritti umani e l’abolizione generalizzata e definitiva della pena di morte, per la pace: questo è il senso dell’impegno che stiamo profondendo, in queste settimane, per lanciare da Roma un messaggio per la pace e la sicurezza per due popoli e due stati, Israele e Palestina. E la fiaccolata che ha attraversato le vie della città unendo la comunità ebraica e quella palestinese, l’abbraccio sul palco sotto il Colosseo tra i loro due rappresentanti, è stato un momento molto emozionante e significativo, una luce di speranza, il segno della possibilità di dialogo e di pace”. Quali le linee di fondo del suo progetto sulla città? “È sempre difficile indicare delle priorità, soprattutto in una città come Roma. Eppure credo che le nostre proposte rappresentino pienamente l’ispirazione del nostro progetto per Roma: una città dove nessuno si senta solo, una città policentrica, dove le periferie rappresentino nuovi centri per una migliore qualità della vita. Nella prima visione si trova il valore della solidarietà, un’idea della città come “comunità”, dove chi è più debole trova aiuto non solo nell’amministrazione, ma nel tessuto sociale, in una “rete” che deve essere aiutata a rafforzarsi e a radicarsi. Gli anziani, i disabili, coloro che vivono in una condizione di povertà, devono potersi sentire cittadini a pieno titolo. E posso dire che sono orgoglioso del fatto che, nonostante un bilancio difficile e rigoroso, quest’anno abbiamo aumentato del 47 per cento le risorse per la spesa sociale”. E la Roma policentrica? “Sì, nella seconda visione si trova l’idea di una città nuova, dove non gravita più tutto sul centro, dove servizi, cultura, sport e istruzione sono decentrati e rappresentano occasione di miglioramento della qualità della vita di ogni cittadino, qualunque sia la sua provenienza sociale, la sua storia, il quartiere dove abita”. Quale, secondo lei, il problema più grave e urgente della città? “La mobilità. E a Roma il problema del traffico trova un ulteriore fattore di difficoltà per l’esteso patrimonio archeologico e monumentale che rappresenta una ricchezza, ma anche un elemento che condiziona le scelte sul sistema della mobilità”. In base a quali idee-guida lo sta affrontando? “Due sono le scelte strategiche che guidano la nostra azione. Da una parte quella che chiamiamo la “cura del ferro”, e cioè un potenziamento del sistema della metropolitana e una accelerazione della sua realizzazione. La costruzione della Linea C sta finalmente partendo e contiamo di inaugurare le prime tratte entro il 2006. Verrà allungata la Linea B e ammodernata la Linea A. “Poi bisogna risolvere il problema dei parcheggi. Dobbiamo offrire nuovi posti di sosta in punti strategici della città per aiutare la mobilità. Si tratta di liberare le strade di Roma dalle macchine, facilitandone la sosta, ma anche la circolazione. E bisogna con coraggio uscire da facili demagogie sulla paura dei parcheggi sotterranei. I parcheggi vanno fatti, con la dovuta attenzione nella loro realizzazione e in accordo con i cittadini. Ma vanno fatti, questo è un impegno per il bene a lungo termine della città”. Le istanze della gente. Lei ha predisposto tempi e metodi per ascoltare realmente i cittadini e rendere loro conto? “Fare il sindaco implica un impegno totale, soprattutto se si vuole governare con coscienza una città come Roma. Bisogna seguire il lavoro del consiglio comunale e presiedere la giunta e lavorare con i singoli assessori per affrontare i mille problemi che ogni giorno si presentano. Ma bisogna anche avere il tempo per programmare sul lungo periodo, per mettere in campo politiche e progetti durevoli e sostenibili, che sappiano non solo affrontare le emergenze ma soprattutto rispondere ai bisogni e alle esigenze della città. “E poi, certo, bisogna essere nella città e con i cittadini. Tutto questo necessita tempi di lavoro impegnativi, che potrebbero relegare in coda l’ascolto dei singoli cittadini. È per evitare ciò che ogni venerdì mi sono impegnato a ricevere personalmente, accompagnato a volte dai miei assessori, coloro che mi scrivono e si rivolgono al sindaco per trovare una soluzione a un problema, per sanare un torto subito o veder riconosciuto un diritto”. Quali le ragioni di fondo che l’hanno portata a decidere di candidarsi a sindaco di Roma? “Innanzitutto l’amore per la città, una città che sento nel sangue, e poi il desiderio di poter dedicare una parte importante della mia vita al servizio di Roma e dei romani”. Lei ha attraversato la politica da dirigente di partito e, come ministro e vice presidente del Consiglio, da uomo delle istituzioni nazionali. Cosa è cambiato stando in Campidoglio? “A quasi un anno dalle elezioni che mi hanno portato in Campidoglio le posso dire che questa è allo stesso tempo l’esperienza più dura e più bella della mia vita. Chi fa il sindaco in una città di queste dimensioni affronta ogni giorno i problemi della città, sente le ansie, i dolori, ma anche le speranze e le gioie di milioni di persone, e interpretare questi sentimenti rappresenta il mio lavoro. Rispetto agli impegni politici precedenti vi è una dimensione di concretezza che consiste nella possibilità di tradurre i valori e gli ideali in azioni concrete, in scelte che modificano e migliorano la vita dei cittadini”. Di fronte a qualche urgenza, le è capitato di sentirsi impotente, nonostante i nuovi poteri conferiti ai sindaci? “Da quando sono sindaco mi è apparso subito chiaro un punto: Roma non è una città come le altre, per dimensioni e per numero di abitanti, certo, ma anche, come abbiamo detto prima, per la complessità di essere la capitale d’Italia e tutto ciò che esso comporta. Eppure ha un bilancio molto limitato e molto inferiore a quello che altre capitali europee hanno a disposizione. “Se in questi anni è stato possibile finanziare alcune opere importanti e necessarie per la città è stato grazie ad eventi eccezionali, come il Grande Giubileo del 2000, che hanno convogliato risorse straordinarie sulla città. Senza un impegno finanziario maggiore per Roma si rischia di non riuscire a realizzare quanto si è progettato. Su questo punto ho incontrato già due volte il presidente del Consiglio, per sottoporgli la questione del ruolo di Roma capitale, anche alla luce del nuovo ordinamento federale dello stato italiano”. Ad una anno dalla sua elezione, forse si è insinuata in lei una domanda: ma chi me l’ha fatto fare? “No, nessun pentimento. Anzi, ho la convinzione di aver trovato la mia dimensione, il luogo dove poter esprimere compiutamente lapassione politica che mi ha sempre animato. È un’esperienza umana unica, che mi arricchisce, che vivo con un entusiasmo che cancella la fatica che provo ogni sera tornando a casa, il più delle volte molto tardi”. C’è un episodio o una decisione, in questo primo anno, che le ha fatto dire: questo ripaga di tutto l’impegno? “Se dovessi prendere un episodio ricorderei la tragedia di Via Ventotene (lo sventramento di un palazzo per una perdita di gas, n.d.r.), un momento durissimo per Roma, in occasione del quale però la città ha dato prova di efficienza e di solidarietà. In quei giorni ho vissuto il dramma e il dolore dei miei concittadini, è stato un momento di vera compassione che mi ha fatto sentire il peso della responsabilità di amministrare Roma, ma anche il senso dell’esperienza umana che questo rappresenta. È stato un momento tragico che ha unito tutti: il comune, i vigili del fuoco, le forze dell’ordine e le strutture ospedaliere, e i volontari del servizio civile, le ragazze e i ragazzi della parrocchia del SS. Redentore. Un’esperienza durissima, ma carica di significato”.