Il velo dell’esperienza mistica

Ogni esperienza spirituale esprime una vicenda personale di incontro con il Divino che come tale non è mai pienamente conoscibile. Ci viene data attraverso “il velo” di un racconto per renderla accessibile attraverso le nostre categorie – sempre imperfette e limitate - umane e culturali. Così dobbiamo leggere anche la vicenda di Fatima come ci spiega Natale Benazzi in FATIMA L’INFINITO SEGRETO (Città Nuova, 2017).

Quando Mosè si avvicinò curioso al roveto che non bruciava, udì una voce che lo richiamò a un’attenzione diversa e a un nuovo comportamento: fu invitato a togliersi i calzari, perché si trattava di un luogo sacro (cf. Es 3, 5). Questo richiamo fece la differenza, nel condottiero di Israele: la curiosità veniva sostituita dalla serietà inaccessibile del mistero, proprio mentre esso si rivelava. Ebbene, è imbarazzante anche per noi la faciloneria con cui spesso pensiamo di poterci accostare alle cose di Dio, da curiosi che riducono l’Assoluto a un gioco di magia. Così vengono le nostre domande: «Sì, parliamo di racconti da ascoltare e cui prestare fede… Ma che cosa accadde davvero? E i segreti si sono pienamente realizzati? E ce ne sono altri, come alcuni sostengono, che il Vaticano tiene an-cora nascosti perché sarebbero terribili? E veramente suor Lucia fu segregata perché non parlasse? E il sole danzante fu un fenomeno reale?…».

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Le esperienze spirituali esprimono una vicenda personale di incontro con la Parola di Dio, che mette in gioco fin nel profondo dell’essere coloro che le vivono; e sono, per i protagonisti, talmente reali e intime e singolari, da sconvolgere un’esistenza. E, anche per i veggenti, siano essi grandi anche come Mosè, l’esperienza divina conserva una dimensione di inconoscibilità che pretende rispetto e rifiuta la domanda banale. Quando ancora Mosè salì sul monte, dopo la prima rivelazione e la fuga, e ricevette la Legge, chiese a Dio di poter vedere il suo volto; la risposta di JHWH fu anche questa volta chiarissima: «Se tu dovessi vedere il mio volto, moriresti!». Per venire incontro alla richiesta di colui che lo amava al punto da aver messo in gioco completamente la propria vita per una semplice promessa, JHWH però decise di passargli innanzi «di schiena» (cf. Es 33), mostrandosi e nascondendosi nel medesimo tempo; mostrandogli ciò che non lo avrebbe ucciso e velando quel che sarebbe stato, per «il più grande dei profeti», causa della sua stessa morte.

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Quel che accade nel caso delle esperienze mistiche deve essere riletto e inserito in un contesto simile: potremmo dire che anche Lucia, Bernadette, ecc. nelle apparizioni di Maria poterono vedere la gloria di Dio “come di spalle”; e noi, quando a nostra volta incontriamo la loro esperienza, la loro storia, siamo come il popolo di Israele, che la vede ulteriormente “velata”: semplicemente perché non siamo in grado di sopportare quella trasformazione in loro coi nostri fragili occhi. La nostra fatica nell’interpretare le profezie, nel cercare continuamente corrispondenze certe, è dunque solo una concessione che facciamo alla nostra curiosità. Se siamo seri, dobbiamo riconoscere che tra noi e la verità di Dio c’è lo stesso duplice velo che avvolgeva il popolo nel deserto e che impedì d’acchito alla stessa Maria di Magdala di «riconoscere il Signore» fino a che egli la chiamò per nome. Il mistero del Dio che si offre nel tempo agli occhi deboli dell’umanità è commovente, come quello dello sguardo di ogni amante di fronte all’amato riconosciuto nella sua radicale alterità.

E questo duplice “velo” (della gloria di Dio nascosta anche al veggente e del veggente stesso nei nostri confronti) lo dobbiamo continuamente tenere presente, per non incorrere a nostra volta nella confusione di chi “pretende” di aver tra le mani l’Assoluto, quando esso stesso non gli è offerto, né potrebbe esserlo.

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Ciò vale anche per le visioni e le esperienze mistiche; vale per Fatima, per Lourdes, per La Salette, per Kibeho… e ci pone di fronte l’ennesimo aut aut: o accettiamo che quel che Lucia e i suoi compagni videro era la “schiena di Dio” e che a noi viene concesso di guardare a Lucia, alla sua vita e alla sua testimonianza, come “dietro a un velo”, o non potremo neppure avvicinarci all’esperienza di Fatima (e a nes-sun’altra) come a un’esperienza spirituale che ha qualcosa da dirci.

 

da FATIMA L’INFINITO SEGRETO di Natale Benazzi (Città Nuova, 2017)

 

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