Il veleno dello sport: alibi e cultura dell’invincibilità
L’ultima settimana dello sport più seguito dagli italiani, il calcio patinato e celebrato dai maggiori riflettori, ha concesso molteplici, per la verità come spesso accade sin troppi, spunti polemici. La scintilla dalla quale sono sgorgati fiumi inchiostro, infografiche social e talk-show televisivi, affollati da inquisitori e retori reputati protagonisti attendibili di una professione tutta italiana, “l’opinionista”, è scaturita dalla partita di vertice della Serie A italiana di calcio, Juventus-Inter, nella quale i bianconeri padroni di casa e campionato si sono imposti per 1-0: al triplice fischio, un vespaio di polemiche è stato montato ai danni del direttore di gara, su rigori non concessi o cartellini non sventolati a scapito di altri troppo facili rilasciati.
Per una sorta di fenomeno che la sociologia nostrana potrebbe di nuovo indagare tra scienza ed irriverenza, si è trattato del contesto ideale ben noto nel quale una marea di suddetti “opinionisti” sembrano sguazzare, lautamente retribuiti per esprimere una sensazione o un’idea anche del tutto mancante di corroborata verifica: molti responsabili mediatici del nostro paese si affrettano, in buona parte dei casi, a chiamare in causa comici, cantanti, docenti, politici, per commentare non tanto il dettaglio tecnico, quanto piuttosto una non meglio precisata “inerzia della gara” o “sudditanza psicologica” di atleti o arbitri.
Per la verità, l’abitudine di chiamare personaggi noti di tutt’altro settore sembra da anni contraddistinguere tanto molte trasmissioni sportive quanto altre, pensate ad esempio in qualità di salotto politico: in entrambi i casi, c’è da chiedersi, in merito, perché ancora una volta, come in altri settori, quali ad esempio materia complessa e delicata come la politica, si voglia costruire una trasmissione fondata su opinioni di nessuna rilevanza sul piano della competenza o dell’esperienza, anziché generare un dialogo costruttivo, dal quale scaturisca un’accettabile sintesi tra opinioni di figure esperte o per lo meno competenti per attività rilevanti sul campo… e sul campo di calcio reale, come sul campo amministrativo reale, piuttosto che affermate solo per fama mediatica. Ci piace così tanto essere una sorta di Repubblica democratica fondata su… opinioni?
Ora, se una sola partita è spesso e volentieri decisa da episodi, un campionato di 38 gare non mente ed i valori, alla lunga, emergono sempre. Così è normale che i “moviolisti”, altro mestiere remunerativo in Italia, ci concedano dalla stessa Serie A una gamma di esempi a cui ogni tifoso può scegliere di appellarsi: come dimenticare lo scorso 7 gennaio, quando il Napoli si è impose al 95° per 2-1 sulla Sampdoria, che contestò l’espulsione di Silvestre avvenuta sullo 0-1 per un presunto contatto con il portiere del Napoli, fallo mai esistito; come scordare
Sampdoria-Roma 3-2 dove invece i doriani vengono graziati due volta, dato che l’arbitro concede la punizione del vantaggio doriano su un fallo che non c’è e poi anziché concedere nel finale un sacrosanto rigore ai giallorossi fischia un fuorigioco inesistente; o come scordare il gol partita di De Paul in Udinese-Milan 2-1, quando il giocatore bianconero non sarebbe dovuto più essere della partita perché il fallo da espulsione commesso due minuti prima della rete.
Per evitare astratti esercizi di retorica, prendiamo lo stesso concreto esempio dell’ultimo Juventus-Inter 1-0. Anziché puntare il dito contro l’arbitro, le situazioni metereologiche, gli infortuni, i pali, eventuali invasioni aliene o improvvise gastroenteriti non confermate, sarebbe molto più istruttivo e rasserenante evidenziare i dettagli poco curati in una fase di gioco e la superiorità conseguente che in quel frangente fa pendere la bilancia del risultato nei confronti dell’avversario, meritatamente vincente a svantaggio dell’altra contendente. Sia esso sul campo, allo stadio, come al pc o in altre competizioni virtuali.
L’esempio concreto di Juve-Inter 1-0 può insegnare. Al di là di punti di vista da verificare in merito, è sembrato evidente come non si considerasse la vera differenza, tutta sportiva e tecnica: il gol decisivo di Cuadrado allo scadere del primo tempo è una vera e propria perla calcistica. Un tiro di controbalzo potente e preciso dal limite dell’area che ha rotto in modo decisivo gli equilibri: perché non concentrarsi su questo, insegnando e ricordando che imparando a calciare si può avere la meglio sull’avversario? E perché, d’altro canto, come ammesso dall’allenatore interista Pioli, non concentrarsi sulla mancata difesa in quello spicchio di campo da parte dei giocatori dell’Inter, che hanno lasciato scoperto uno spazio decisivo?
Basterebbe provare a esercitare un punto di vista diverso da parte di addetti ai lavori e tifosi, in questo caso in ambito calcistico: perché dire che l’avversario “ruba” o vince “per fortuna” anziché concentrarsi sulla propria mancanza nel dettegli tecnico? Perché, dall’altro lato, gli appassionati di varie bandiere non ricordano che è sempre il dettaglio tecnico, il centimetro, sul quale si lavora per anni, a fare la differenza rompendo partite equilibrate, piuttosto che vari alibi inutili e del tutto ipotetici?
Andare #OltreLaBarriera dell’alibi e dell’incapacità di accettare la sconfitta può rendere migliore lo sport come ogni attività umana, facendo tutti più felici di confrontarsi e migliorarsi, in campo e fuori: è così difficile accettare che qualcuno sia stato più bravo in quel caso? O è forse l’occasione per diventare migliori?