Vegetalesimo: di che si tratta?

Rivedere il rapporto tra uomo e natura al centro delle "poesie vegetali" di Lino Angiuli.
una mano tiene un mucchietto di terra: l'unità tra uomo e natura

Con “Poesie vegetali – Green poems”, l’antologia bilingue, tradotta negli Stati Uniti da Barbara Carle, docente di italiano alla Sacramento States University, il poeta pugliese Lino Angiuli consolida, a buon diritto, la sua presenza a livello internazionale, avviata, nel 1988, con ‘Antologie des rencontres poétiques international en Suisse romande’, seguita da ‘Dialect Poetry of Southern Italy’ e ‘Via terra. Anthology of Contemporary Italian Dialect Poetry’. “Poesie vegetali – Green poems”, pubblicato da Edizioni di Pagina e dal Consiglio Regionale della Puglia, sintesi del suo pensiero poetico, porta oltreoceano la sua ricerca costante “inseguendo – spiega Maria Rosaria Cesareo nell’introduzione al volume – il filo verde di quell’umanesimo vegetale di cui Angiuli può definirsi a ragione, se non il fondatore (sostantivo che non incontrerebbe il suo consenso), il seminatore”. In oltre cinquant’anni di attività, sono una quindicina le opere pubblicate da questo autorevole intellettuale del Sud.

Angiuli, qual è stato il filo conduttore della sua poesia?
Un’incessante ricerca che aspira a dare parola al ‘noi’ e a chi non ce l’ha, ai «muti della Storia», alla «massa senza archivi e senza volto».

Nella sua poesia il Sud non è la terra del rimorso, come diceva De Martino, ma un universo in sintonia con altri universi. Quali sono i punti di contatto?
Il bisogno di parola e di ascolto ovvero di riconoscimento avvertito soprattutto da alcune culture silenziate, pur non essendo silenziose. È una condizione riscontrabile in ogni luogo e tempo in cui l’uomo ha prodotto ferite, rimarginabili solo grazie a processi culturali lunghi e consapevoli, nei quali anche la poesia può partecipare.

Perché il mondo contadino entra nella sua avventura intellettuale? Che cosa ha trovato di così particolare da farne il centro della sua poetica?
Ci sono ragioni biografico-affettive, essendo io nato in una famiglia contadina, ma anche istanze etiche, culturali e politiche. Il poeta, come ogni uomo, non può fare a meno di un rapporto con il luogo e la lingua in cui è nato. Ma, a prescindere dalle implicazioni personali, apprezzo molto che una ‘civiltà’ senza scuole, teatri, libri e altri strumenti di acculturazione, come quella contadina, sia riuscita a lasciarci in eredità una cosmogonia completa e capace di rispondere alle domande esistenziali. Un’eredità purtroppo svenduta al cosiddetto progresso.

Il mondo contadino è anche natura che parla. Perché la natura è diventata simbolica nella sua poesia?
Perché non è tanto la Storia quanto la cosiddetta “natura” la vera magistra, abilitata a dare istruzioni sull’uso dell’esistenza, istruzioni abbondantemente inascoltate, a quanto pare, da quando l’uomo ha dimenticato di essere anch’egli natura. Più che la locuzione divisiva ‘l’uomo e la natura’ dovrebbe valere quella inclusiva ‘l’uomo è la natura’.

Il critico letterario Daniele Pegorari, studiando la sua opera, ha parlato di ‘poesia vegetale’ e indica lei come capostipite del “vegetalesimo”. Che cos’è il “vegetalesimo”? Quali sono i suoi valori ideali e poetici?
Quello che chiamo “Vegetalesimo” vuole essere un umile (da humus) invito a ridurre l’ottica antropocentrica che ha fatto e fa molti danni al pianeta che ci ospita. Una relazione ravvicinata e paritetica con il mondo vegetale, ma anche animale, minerale non può che far bene all’orgoglio autoreferenziale e fortemente limitativo dell’homo sapiens. Il basilico potrebbe salvarci, se sapessimo ascoltarlo e parlargli, perché in fin dei conti condividiamo lo stesso Padre. Si tratta insomma di transitare dall’ego all’eco. Per ego intendo l’esito individualistico del cartesiano ‘cogito ergo sum’, penso dunque esisto.

Ritiene che la sua poesia intercetti, sia pur ad un diverso livello, il messaggio della ‘Laudato si’’ e i bisogni sociali che quell’enciclica evidenzia?
Sicuramente sono vicino alla Laudato si’, ma all’originale, ovvero alla madre di tutte le poesie d’ispirazione “religiosa” composta e regalataci da Francesco d’Assisi.

L’ultima sua opera Addizioni, pubblicata dall’editore Aragno, pone il tema della stratificazione degli eventi nella vita. Cosa dicono le sue addizioni?
Il titolo voleva alludere alla necessità di avvicinare parola e numero come emblemi di due culture che meritano di essere incrociati e non vivere da separati in casa. Ma è anche evidente che ogni vita umana è fatta da tante vite che si addizionano in cerca di una somma che dia il totale ovvero il senso.

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