Vedere e credere
Tante persone hanno visto Gesù durante la sua vita, poche hanno creduto. Per una parte di loro, le sue parole e gesti li facevano penetrare in profondità nel mistero del suo essere, magari senza comprenderlo chiaramente, ma intuendo – con la fede e l’amore – che Lui apriva verso un’altra dimensione, dalla quale veniva e nella quale era immerso. Per altri no: restavano alla superficie, curiosi davanti a quel profeta insolito o interessati per approfittare dei suoi miracoli o addirittura chiusi e in opposizione feroce.
Era lo stesso Gesù per gli uni e per gli altri.
Quando risorge, i suoi amici vivono la stessa dialettica fra il vedere e il credere. I due in cammino verso Emmaus commentano scettici che “alcune donne” e “alcuni dei nostri” hanno trovato il sepolcro vuoto, “ma lui non l’hanno visto”. Però, in realtà, Giovanni “vide e credette”.
Maria va al sepolcro piangendo: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto” (Gv 20, 13). Tagore ha cantato: “Non piangere quando tramonta il sole, le lacrime ti impedirebbero di vedere le stelle”. Infatti quando Gesù si fa presente, lo scambia per il custode del giardino. Ma Gesù la chiama per nome; allora si volta: si converte, passa dalla visione terrena e possessiva (il “mio” Signore) al riconoscimento – nella fede – di Gesù come Figlio del Padre, che è anche Padre dei “miei fratelli”. Non è più possesso esclusivo dell’amore di Maria, ma è di tutti, ai quali apre e partecipa il suo rapporto esclusivo (questo sì!) col Padre suo.
Maria corre ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!”. È segno che ha creduto.