Vecchio libro addio, forse

Sostituire il libro cartaceo con quello digitale e affidarsi solo alla conoscenza disponibile in Rete? I lettori alla prova.
E-book

Sfogliare un libro. Apprezzarne la copertina e il titolo. Gustarlo, leggendolo con calma e assaporando ogni pagina, o scorrerlo velocemente, presi dalla trama incalzante. Chi ama i libri conosce l’odore della carta stampata, la fragranza di un amico fedele, soprattutto nei momenti di solitudine o meditazione.

Certo, c’è anche chi non legge mai e sfoglia distrattamente un libro all’anno, per poi dimenticarlo a prendere polvere da qualche parte. Questo articolo non è per loro.

Riguarda invece quelli che sfiorano le labbra con il dito, per inumidirlo e girare pagina più facilmente. L’avventura tecnologica è ormai arrivata anche qui, e ci chiede di cambiare abitudini.

 

Scenari

 

Tra pochi anni entreremo in libreria, chiederemo un libro e ce lo stamperanno lì, sul momento. Niente più tirature a rischio per gli editori o magazzini pieni di libri invenduti. Se ne stamperanno esattamente quanti se ne venderanno. Col vantaggio, per gli utenti, di poter acquistare facilmente anche libri ormai introvabili, perché pubblicati molti anni prima. Uscendo dal negozio, avremo ancora tra le mani un buon vecchio libro di carta.

Diverso il caso se useremo l’e-book, la tavoletta elettronica che può contenere centinaia di libri (anche multimediali), il cosiddetto “lettore digitale”: collegandolo in Rete (Gsm o Internet) potremo scaricare i testi desiderati in formato digitale, senza muoverci da casa. Il costo ci verrà addebitato su conto corrente o carta di credito.

In quest’ultimo caso, però, invece di leggere su carta, leggeremo le pagine sullo schermo dell’e-book. Meglio? Peggio? Pensiamo a chi ci vede poco, potrà ingrandire i caratteri a piacimento; e i ragazzi andranno a scuola portando una sola “tavoletta” invece di tanti pesanti libri. Vantaggi e svantaggi, da valutare bene. Nel frattempo, si moltiplicano gli studi per ottenere pagine elettroniche che al tatto e alla vista assomiglino alla carta vera.

 

Google e gli altri

 

Ma chi rende disponibili i testi digitali? In Rete troviamo molte piattaforme, frutto della collaborazione di università, centri di studio, enti culturali ed editori. In Europa, ad esempio, la francese Gallica2, modello che ha aperto la via alla digitalizzazione del patrimonio delle più importanti biblioteche, o la più internazionale Europeana, che mette a disposizione i patrimoni di centri di eccellenza come il Rijksmuseum (Amsterdam), la British Library (Londra) e il Louvre (Parigi).

Il più importante progetto di ricerca per la gestione dei diritti d’autore e lo sviluppo delle biblioteche digitali europee ha però un cuore italiano. Arrow, coordinato dall’Associazione italiana editori (Aie), cerca soluzioni tecniche in grado di rispondere alle esigenze di autori, editori e biblioteche.

Chi si è mosso con maggior disinvoltura, però, è stato Google, il più diffuso motore di ricerca, che ha preso tutti in contropiede. Col discusso progetto Google book search vorrebbe digitalizzare tutti i libri del mondo. Qualcuno esulta, perché spera finalmente nella cultura gratis a disposizione di tutti. Qualcun altro invece teme l’ennesimo monopolio privato (e americano).

Più di qualcuno, infine, si preoccupa perché Google, nella fase iniziale del progetto, non ha rispettato i diritti di autori ed editori: non a caso se ne discute nei tribunali di mezzo mondo. Se un testo è “orfano”, cioè non si conosce con sicurezza il titolare dei diritti, non c’è problema; altrimenti Google dovrebbe teoricamente accordarsi con l’editore (e/o l’autore) prima di digitalizzarlo. Per cui ora si sta lavorando assieme: Google mette il motore di ricerca e gli editori i contenuti. Cosa nascerà? Sarà un monopolio culturale?

Nel frattempo, però, i singoli editori iniziano a pubblicare anche in Rete, per non “scomparire” del tutto nel mondo digitale. In Italia il primo a mettere in Rete l’intero catalogo è stato Il Mulino, ma anche Città Nuova non sta a guardare: varerà, a breve, il suo digitale online cominciando con il libro Benedetta economia. Un titolo più di buon auspicio non si poteva trovare!

Le cose dunque cambiano velocemente e probabilmente presto avremo tutti in casa un lettore digitale. Non crediamo però che le biblioteche cartacee spariranno mai, perché il buon vecchio libro di carta non cederà tanto facilmente le posizioni che detiene da secoli. Al massimo si rassegnerà a convivere con questo fratello appena nato, ma già molto agitato: il libro digitale.

Paolo Friso e Giulio Meazzini

 

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Nati digitali

 

Federica, 4 anni, ha cambiato i fiori nella casa di Barbie e poi è corsa in giardino per spostare all’ombra la ciotola del gattino. Per lei la casa di Barbie “dentro il computer” e il gattino “fuori del computer” fanno parte dell’unico suo mondo.

Federica è nata quando Internet c’era già: è quindi una “nativa digitale”. Noi adulti, invece, siamo degli “immigrati digitali”, dobbiamo adattarci al mondo dentro il computer che non è la terra delle nostre origini.

Federica non parlerà mai di rivoluzione digitale. Siamo noi immigrati che dobbiamo imparare ad usare la tecnologia, che facciamo paragoni tra prima ed ora, perché manteniamo la nostra esperienza, le nostre radici. Per questo abbiamo paura del futuro e ci facciamo tante domande.

Ogni nuovo mezzo di comunicazione ha portato una mutazione nella vita e nella conoscenza umana. Ma, se ci sono volute 1700 generazioni per sviluppare il linguaggio, 300 per la scrittura e 30 per arrivare alla stampa, da quando è comparsa l’energia elettrica i cambi tecnologici si sono susseguiti generazione dopo generazione. È diventato impossibile passare la staffetta: c’è stata una specie di discontinuità, per cui ogni generazione sperimenta il nuovo senza il supporto della precedente.

 

Ma cosa accadrà quando i “nativi digitali” cresceranno? Che nuova forma daranno al mondo? Segnali di categorie in crisi ci sono già. Lo dimostrano esempi semplici e quotidiani: se una fotografia può essere rimaneggiata, se una notizia in Rete rimbalza da una parte del mondo all’altra in varie versioni, se ogni opinione si equivale, la distinzione tra vero e falso pare senza futuro.

Come senza futuro comincia ad essere il distinguere tra naturale e artificiale, quando nei nostri corpi introduciamo protesi che ci permettono di riacquistare abilità fisiche o ci circondiamo di organismi geneticamente modificati. Guanti, occhiali e altri apparecchi digitali appositi ci permettono oggi di espandere i nostri sensi, di vivere mondi immaginari così come quelli quotidiani: realtà e fantasia si sperimentano allo stesso modo.

I concetti di tempo e spazio mutano. Già godiamo di una certa bilocazione: lavoriamo nel nostro ufficio a Roma insieme a un collega che sta a Seul, vivendo in un doppio tempo, se qui sono le 12 lì sono le 23. Gli hyperlink e certi videogiochi ci fanno agevolmente attraversare le epoche e mescolarle, riviverle, con sensazioni di tempo e spazio dilatati, accorciati o ciclici.

Sta cambiando anche il pensare. Non si procede più secondo strutture gerarchiche, deduttive o induttive che siano, ma per associazione, come apprendono i bambini. La conoscenza sta divenendo visiva, globale e discontinua, soprattutto partecipativa. Conoscere equivale a vivere o rivivere.

Cambia la scrittura, sempre più multimediale. Per Derrick De Kerckhove, la penna della generazione dei sempre connessi è YouTube. Il senza limite è la quotidianità della Rete, i cui confini ci sfuggono nella multidimensione di una continua creazione collettiva.

 

Da tutto ciò la domanda: in un’epoca di ibridi, in cui i sentimenti possono ridursi a procedimenti chimici e l’infinito è costruito come autoriflessione senza fondo di realtà fisica/virtuale in perenne espansione, cosa diremo “uomo”, o meglio “persona”?

Ci siamo illusi pensando di trovare risposte esaurienti nel nuovo mondo che si profila, e cominciamo ad accorgercene: paure, tristezze, mancanza di progetti e ideali a lunga durata, successo di esoterismi.

Scopriamo che in noi permane il mistero, come un anelito, una incancellabile ferita originaria. Allora, quando si parla di crisi educativa e ci si interroga su quale formazione dare alle nuove generazioni che pare ci sfuggano di mano, perché non riportare alla luce proprio queste domande antiche, magari in forme comunicative aggiornate, e ridar senso alla ricerca di una risposta?

Qui è la ricchezza dell’uomo, qui la possibilità di “bucare” il nostro mondo e ritrovare un trascendente. Chissà, magari arriveremo anche a far risorgere Dio dalla morte in cui lo abbiamo confinato.

Maria Rosa Logozzo

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