Vecchi tempi

L’interno di una casa sul mare, un salotto. Due coniugi, Deeley e Kate. Una figura in penombra, Anna – amica di giovinezza di Kate di cui si attende la visita -, entrerà ad un certo punto nelle reciproche reticenze della coppia. Fra le due donne nei loro verdi anni c’era stata una solidarietà forse ambigua. Ma forse anche Deeley e Anna s’erano conosciuti. Forse non si sono neanche incontrati. E noi non siamo sicuri che si tratti di una persona vera, o non piuttosto di un’evocazione; o, ancora, di uno sdoppiamento. In un’atmosfera sospesa, solo in apparenza realistica, oggetto dell’indagine di Harold Pinter sono i complessi rapporti umani, quelli tra uomo e donna. In Vecchi tempi (del 1970) c’è il passare del tempo col suo carico di memoria che si confonde con il presente, dove la realtà stravolta dal ricordo può ingannare, amplificare, cancellare, o riportare in vita. Parlandoci di una solitudine sulla quale già si protende l’ombra della vecchiaia e della morte, Pinter tratta con un’ironia sottilissima il dolore sotterraneo che può generare l’insondabilità dell’altro. Su una pedana rotante e proiezioni evanescenti di finestre, onde marine, volti ingranditi, i tre si scambiano parole (un trio di interpreti d’eccezione: Umberto Orsini, Galatea Ranzi, Valentina Sperlì): sono queste le protagoniste assolute della pièce che la regia di Roberto Andò fa crescere nello spazio della messinscena, diventare concrete, e poi dissolversi nello sgomento dell’uomo rimasto solo con sé stesso. All’Eliseo di Roma e in tournée a Genova, Padova, Ravenna, Venezia, Salerno, Reggio Calabria, Novara, Macerata, Cesena,Thiene.

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